Il blog di Italians for Darfur

venerdì, giugno 29, 2007

Rapporto Onu 2006: dati da Ansa

E' disponibile online un articolo dell'Ansa sulle attività alimentari nel Darfur del Nord.

Ecco un breve estratto dell'articolo, lungo per essere una notizia Ansa:

Su questo settore è da tempo impegnata la Coopi (Cooperazione internazionale) che, grazie al finanziamento di Echo, Fao, Unicef e Ministero degli Affari Esteri, ha avviato un progetto di sicurezza alimentare e di sicurezza idrica nelle località di Mellit e Malha (Nord Darfur).

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Milano, 3-8 luglio: Fotomostra sul Darfur

Ringraziamo Marco di Think Turns per la segnalazione (L.S.)

Dal 3 all’8 luglio 2007, presso FORMA - Centro Internazionale di Fotografia, farà tappa italiana la mostra itinerante Darfur / Darfur nata per informare e sensibilizzare sulla crisi del Darfur.


FORMA, Piazza Tito Lucrezio Caro 1, 20136 Milano
Orario: tutti i giorni dalle 11 alle 21; giovedì dalle 11 alle 23; chiuso il lunedì

Ingresso libero

Per informazioni telefoniche: 02.58118067
Per informazioni sul progetto della mostra, cliccate qui.
Per informazioni sulla tappa italiana della mostra, cliccate qui.

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giovedì, giugno 28, 2007

Solo il cessate il fuoco immediato puo' favorire il dialogo in Darfur.

Il 14 giugno scorso, Italians for Darfur, insieme alle maggiori organizzazioni europee per il Darfur, ha scritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per esortarlo a intraprendere una linea politica più incisiva sulla crisi del Darfur, usando le sanzioni come principale ed efficace formula di pressione sul governo sudanese.

La missione congiunta ONU-UA, la cui legittimazione da parte di Karthoum è stata ottenuta proprio grazie alla minaccia di nuove sanzioni da parte degli Stati Uniti, partirà in realtà solo dal 2008 e non ha nessun impatto immediato sulla situazione dei civili e degli operatori umanitari in Darfur, che si fa di giorno in giorno più pericolosa. Le più grandi ONG presenti sul campo hanno denunciato, anche alla audizione alla Camera tenutasi a Roma grazie a Italians for Darfur, che "oggi è molto peggio di quanto fosse nel 2004".

Il deteriorarsi delle condizioni non facilita di certo lo sviluppo di un processo di pace, che è l'unica soluzione possibile per garantire l'accesso dei civili agli aiuti umanitari e l'equa distribuzione delle risorse.
Come si può pretendere che le fazioni ribelli abbiano una anche minima possibilità di decidere una comune posizione, se i loro leader non possono riunirsi senza che, nel frattempo, le loro basi e i loro villaggi vengano bombardati? Anche nella sua ultima riunione di giugno, il Consiglio dell'Unione Europea ha condannato i nuovi e ripetuti bombardamenti di civili da parte dell'aviazione sudanese e ha esortato i ribelli a costruire una comune linea politica, ma non ha fatto nessun riferimento al problema che proprio questi attacchi indiscriminati costituiscono il principale ostacolo al dialogo. Un'altra condizione fondamentale perche' non si ripeta il fallimento dell'accordo di pace di Abuja del maggio 2006 è che al futuro -auspicato- tavolo della pace vengano rappresentate tutte le componenti della società civile del Darfur e che la comunità internazionale vigili compatta, senza riserve, sul rispetto del cessate il fuoco.

L' Italia-non ci stancheremo mai di ricordarlo- mai come quest'anno potrebbe svolgere un ruolo di primo ordine nel Consiglio per i Diritti Umani e nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, essendo a capo tra l'altro della commissione per le sanzioni al Sudan, e in seno all'Unione Europea, facendosi promotrice di pace in Darfur.
Italians for Darfur e' convinta che la responsabilita' di tale ruolo sara' difficilmente assunta finche' non saranno gli stessi cittadini italiani a pretenderlo. Rinnoviamo quindi l' appello on-line di Italian Blogs for Darfur ai mass media italiani, perche' non nascondano piu' al nostro Paese il dramma di 2milioni di persone in fuga e la morte di 400.000 civili e garantiscano una corretta e piu' ampia informazione sul Darfur e sulle altre crisi umanitarie troppo spesso dimenticate.

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mercoledì, giugno 27, 2007

La passerella di Parigi: "il silenzio uccide" ma le parole, da sole, non salvano.

"Il silenzio uccide". Ha esordito con queste parole il Primo Ministro francese Sarkozy, alla riunione del Gruppo di Contatto allargato per l'emergenza Darfur, il 25 giugno a Parigi. Una conferenza che per numero di partecipanti, assenti l'Unione Africana e il Sudan, quest'ultimo non compreso nella lista degli invitati, ha assunto le caratteristiche di un meeting internazionale di alto rilievo. Eppure, al di la' di tante parole di commiserazione, nessuna condanna esplicita al governo di Karthoum e' stata pronunciata ma, soprattutto, nessuna strategia di azione e' stata messa a punto.

L'ennesima passerella di capi di Governo si sarebbe conclusa quindi con un nulla di fatto, se l'Europa non avesse deciso di stanziare altri 70 milioni di euro tra aiuti umanitari e sostegno alla missione dell' Unione Africana. L'Italia ha promesso un sostegno esclusivamente di natura economica alla missione ONU-UA in Darfur, mentre sono gia' previsti cinque milioni e mezzo di euro per la Cooperazione italiana in Sudan. Erano rappresentate anche la presidenza delle Nazioni Unite, la Russia, la Lega Araba e la Banca Mondiale. E'stato ribadito il sostegno alla missione econgiunta UA-ONU di 23.000 unita' e l'impegno a portare i ribelli e il governo sudanese a sedere a un tavolo di pace. Fatto assai singolare, la conferenza, durata solo quattro ore, non ha prodotto nessun comunicato ufficiale, condizione probabilmente imposta dalla Cina per la sua partecipazione.Il prossimo appuntamento e' per settembre a New York.

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lunedì, giugno 25, 2007

Raccontare il Darfur: un video in italiano

Ringraziamo Cattiva Maestra per l'ottimo lavoro nel suo post e nel doppiaggio del video (L.S.)

Sono decine le associazioni volontarie che, nel completo silenzio dei media, si occupano dell'immane tragedia umanitaria che da oltre tre anni insanguina i territori del Darfur.
Alcune associazioni si battono con tutte le loro forze per riaccendere i riflettori su quell'angolo di Africa troppo spesso ignorato e dimenticato, altre ancora scelgono la difficilissima e rischiosa via della cooperazione sul territorio, offrendo assistenza e sostegno in quel mare magnum di 2 milioni di sfollati che ormai da anni affollano i campi profughi.



Refugees International ha coraggiosamente scelto la via dell'assistenza sul territorio, portando soccorso e raccogliendo testimonianze dai molti campi profughi che costellano il confine con il Ciad. Con tenacia e determinazione, alcuni membri di questa associazione hanno creato un breve documentario per testimoniare le storie che puoi "sentire sotto ogni albero del Darfur", raccontate dalle tante vittime del genocidio, colpevoli solamente di essere nate in uno sperduto villaggio in Sudan invece che a Manhattan.
Vi invito a guardare e diffondere questo raro documento, perché solo con la consapevolezza la speranza può tramutarsi in qualcosa di concreto. Ce lo chiedono 2 milioni di sfollati e 400.000 morti sono lì a ricordarcelo. Ogni giorno.

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venerdì, giugno 22, 2007

Il Darfur nei 'palazzi' della politica

Una delegazione di rifugiati e di associazioni
ricevuta alla Camera e al Senato

Una delegazione di rifugiati del Darfur, guidata dal portavoce Abu Elgasim Mohamed, è stata ricevuta ieri dal presidente della Commissione Esteri della Camera Umberto Ranieri e ascoltata dal Comitato per i diritti umani della Camera dei Deputati. All’audizione, sollecitata proprio dal nostro movimento, erano presenti i rappresentanti di ‘Italians for Darfur’, delle Ong ‘Oxfam International’ e ‘International Crisis Group’ e della 'Caritas'.
Nel corso dell’incontro gli esponenti dell’associazione dei rifugiati della martoriata regione del Sudan, dove è in atto da quattro anni una violenta guerra civile, hanno raccontato alcuni degli atroci crimini di cui sono stati testimoni e hanno avanzato delle proposte per porre fine al conflitto in Darfur.
Forte la denuncia delle Ong impegnate nei campi di accoglienza in Sudan, in particolare quella di Oxfam che ha annunciato di essere costretta per questioni di sicurezza a lasciare il campo di Gereida, che ospita 150mila rifugiati, e del rappresentante della Caritas il quale ha raccontato dell’uccisione di un collaboratore sudanese dell’associazione nel sud-pvest del Darfur.
Leo Sorge, membro di Italians for Darfur, ha invece parlato delle iniziative intraprese finora dal movimento, insieme all’associazione Articolo21, per accentrare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass-media sulla crisi umanitaria che ormai dura da oltre quattro. Ha anche rimarcato l’importanza di un’informazione corretta, non generica, e che si soffermi anche sulle ragioni del conflitto e, soprattutto, sui ritardi delle istituzioni e della diplomazia nel pressare il governo di Khartoum a permettere il dispiegamento di una forza di interposizione composta da Caschi blu e operatori dell’Unione africana.

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mercoledì, giugno 20, 2007

Ad Assisi, nel nome del… Darfur e di Nyala


Questa sera, mercoledì, i Francescani di Assisi hanno organizzato “Nel nome del cuore”, il consueto concerto di beneficenza dalla piazza inferiore della basilica. Quest’anno i fondi verranno destinati alla popolazione del Darfur.
L’evento verrà trasmesso venerdì da Rai 1, a partire dalle 21:15 (il sito dell’evento riporta l’inizio alle ore 22:50). Tutte le persone interessate al Darfur potranno sicuramente trovare elementi interessanti durante la manifestazione, nella quale con grande probabilità si avranno importanti informazioni e dichiarazioni sull’effettivo lavoro svolto dagli italiani in quella martoriata regione.
Alle ore 16 di oggi c’è stato un importante dibattito su Darfur. Il programma dice: Saluto del vescovo di Assisi, S.E. Domenico Sorrentino, del Sindaco di Assisi, Claudio Ricci e del Custode del Sacro Convento, P. Vincenzo Coli; il moderatore è Francesco Giorgino, giornalista di RAI1. Interverranno Francesco Rutelli e lo sceicco Musa Abdalla Hussein.
Lo sceicco è una personalità religiosa sudanese che ha avuto un ruolo anche nella costruzione dell’ambulatorio-ospedale di Nyala, sul quale ebbe a cimentarsi anche l’italiana Barbara Contini. E’ ipotizzabile anche la partecipazione dell’ambasciatore sudanese in Italia.
Per l’evento televisivo sono annunciati S. E. Card. Bertone Tarcisio (Segretario di Stato Vaticano), Mubarak Hosni (Presidente della Repubblica d'Egitto) e Nancy Pelosi (speaker della Camera dei rappresentanti USA).

A… rileggerci dopo la visione della trasmissione.

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Audizione dei rifugiati del Darfur

Della delegazione che sarà ricevuta alla Camera dei Deputati farà parte anche Italians for Darfur
Una delegazione di rifugiati del Darfur, guidata dal portavoce Abu Elgasim Mohamed, sarà ascoltata giovedì 21 giugno, alle 8:45, dal Comitato per i diritti umani della Camera dei Deputati, sul conflitto violento nella regione del Sudan dove si sta consumando da quattro anni un’immane tragedia. All’audizione saranno presenti anche esponenti di Ong impegnate per il Darfu,r che forniranno le loro analisi e raccomandazioni per un’azione da parte del governo italiano, e noi di Italian blog for Darfur.

Jamie Balfour-Paul, Consigliere Affari Umanitari, Oxfam International, parlerà del deterioramento della situazione umanitaria e dell'impatto del conflitto sui civili del Darfur, ma anche della decisione di Oxfam, annunciata sabato scorso, di lasciare Gereida, il più grande campo profughi del Darfur.

Andrew Stroehlein, Direttore Communicazione, International Crisis Group, avanzerà le proposte all’Italia e alll'UE per porre fine al conflitto in Darfur, attraverso un approccio unito della comunità internazionale.

Leo Sorge, membro di Italians for Darfur, movimento promotore del primo Global Day per il Darfur in Italia, parlerà delle iniziative intraprese finora per accentrare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass-media sul conflitto in atto nella martoriata regione sudanese e chiedere così maggiore impegno delle istituzioni.

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martedì, giugno 12, 2007

Il Sudan dice sì ai 'caschi blu'

Il governo sudanese ha accettato il dispiegamento in Darfur di una forza di pace ibrida Onu-Unione Africana

Dopo mesi di netti rifiuti, il governo del Sudan ha accettato il dispiegamento in Darfur di una forza di pace ibrida Onu-Unione Africana (Ua) per garantire la sicurezza e l'incolumita' dei civili. Lo riferisce un comunicato stampa congiunto Khartoum-Onu-Ua siglato ad Addis Abeba. Secondo la nota, il Sudan "ha accettato la proposta di un'operazione ibrida in Darfur" dopo avere ottenuto delucidazioni e chiarimenti da entrambi gli organismi internazionali.
La settimana scorsa il vertice del G8 a Heiligendamm, in Germania, avevano minacciato di imporre sanzioni al Sudan se Khartum avesse continuato a opporsi al dispiegamento di una forza di peacekeeping composta da 'caschi verdi' e 'caschi blu'.
"Restiamo profondamente impegnati per risolvere la crisi in Darfur - si legge nella dichiarazione finale dei leader degli Otto - se il governo sudanese o i movimenti ribelli continueranno a non rispettare i loro obblighi, sosterremo azioni appropriate da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu".
Secondo le agenzie delle Nazioni Unite che operano nella tormentata regione occidentale del Sudan, dall'inizio del conflitto nel 2003 sono stati oltre 200.000 i morti e due milioni gli sfollati. Khartum parla invece di 9.000 morti e respinge l'accusa di genocidio.
L'anno scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che autorizza il dispiegamento di una forza di pace "ibrida" Onu-Unione africana (Ua) di 23.000 uomini. Ma finora il presidente del Sudan, Omar Hassan al-Bashir, ritenendo "eccessivo" il numero di 'caschi blu' aveva autorizzato soltanto un contingente di 3.000 uomini tra forza di polizia Onu e personale militare in aiuto al dispositivo Ua di circa 7.000 effettivi.
Speriamo bene... è comunque una grande notizia.
Anto

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giovedì, giugno 07, 2007

Campagna di disinvestimento mirato: i nostri soldi valgono piu' di quanto crediamo.

Si chiama "consumo responsabile" e si sta diffondendo in tutto il mondo industrializzato.
Non e' una malattia, tantomeno una piaga della societa'.
E' il senso critico comune, alimentato dalla libera circolazione dell' informazione, applicato alla scelta dei prodotti e dei servizi sul mercato.
Il criterio di scelta?
Non solo convenienza e qualita', da sempre interrogativi delle massaie di tutto il mondo, ma anche l'impatto dell'azienda madre sulla societa' e sull'ecosistema.
Figlio ribelle del consumismo globale e del mercato senza frontiere, il "consumatore critico" si pone domande sull'impatto della produzione e del commercio dei prodotti e dei servizi delle singole grandi aziende, nazionali e multinazionali, sulla natura e sull'uomo, al fine di non alimentare con i propri acquisti abusi come la deforestazione in Brasile, l'inquinamento del Delta del Niger, lo sfruttamento degli operai in Cina, le intimidazioni ai sindacalisti in Colombia, il lavoro minorile in Thailandia, e il MASSACRO in Darfur.

Potreste essere proprio voi a finanziare, a vostra insaputa, le milizie janjaweed che uccidono interi villaggi in Darfur da quattro anni. Gia' 400.000 civili sono morti e piu' di due milioni sono i rifugiati nei campi profughi. E' un pensiero terribile. Ma potrebbe essere una triste realta'.
Per questo Aegis Trust, in collaborazione con Italians for Darfur, lancia anche in Italia la campagna di disinvestimento mirato per dirottare gli investimenti delle aziende italiane in Sudan, il cui governo si e' macchiato di gravi crimini contro l'umanita', e costringerlo cosi' a porre fine allo sterminio in Darfur.
Per informazioni e per aderire alla campagna di disinvestimento, non esitare a contattarci.
I nostri soldi valgono piu' di quanto crediamo.

http://www.italianblogsfordarfur.it - http://www.darfurdivestment.org/Italy

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sabato, giugno 02, 2007

Nuova iniziativa per il Darfur

Grazie ad Art. 21 appello ai media sarà più forte

Alle firme di Franca Rame e Dario Fo si aggiungono, tra le altre, quelle di Fiorella Mannoia e Alessandro Gassman

Anche Articolo 21 si affianca a Italian blogs for Darfur che da oltre un anno porta avanti una campagna di informazione e un appello per chiedere ai media italiani di dare più spazio all’informazione sulla tragedia che si compie da quattro anni in Darfur.
Ringraziamo le giornaliste Alessandra Mancuso, Giovanna Milella e Giuseppina Paterniti e la regista Alida Fanelli, in rappresentanza di Articolo 21, per aver lanciato un appello al mondo della cultura e dello spettacolo e ai media affinché si illumini a giorno il tema dei massacri in Darfur.
Tra coloro che hanno aderito al nuovo appello - e che si affiancano a Dario e Jacopo Fo, Franca Rame, Subsonica, Caparezza, Cesare Cremonini, Luciana Litizzetto, Vincino, Gianni Vernetti, Marco Pannella e tutti i Radicali, che da tempo supportano la nostra campagna per il Darfur - Fiorella Mannoia, Alessandro Gassman, Liliana Cavani, Monica Guerritore, Daniela Poggi, Giobbe Covatta, Mimmo Calopresti, Paola Pitagora, Lina Sastri, Lella Costa, Ottavia Piccolo, Barbara Scaramucci, Lucrezia Lante della Rovere, Rula Jebreal, Enzo Nucci, Federico Orlando, Maria Cuffaro, Tiziana Ferrario”.
Siamo certi che con l’aiuto di Articolo 21 presto alle oltre 2mila firme già raccolte se ne aggiungeranno molte altre e l’appello per fare in modo che si parli sempre più del massacro che si sta compiendo nella martoriata regione del Sudan sarà più forte ed incisivo.

Per approfondimenti: www.articolo21.info

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venerdì, giugno 01, 2007

Viaggio nell’inferno afgano


Afghanistan, oltre 300 civili uccisi in soli 4 mesi
Alcuni giorni fa è stato presentato un rapporto dell'Onu sulle vittime delle operazioni militari e delle violenze dei talebani in Afghanistan. Secondo i dati in possesso delle Nazioni Unite i civili uccisi nel primo quadrimestre 2007 sono tra i 320 e i 380.
Richard Bennett, responsabile per i diritti umani della Missione
di Assistenza Onu in Afghanistan, ha affermato che i talebani non esitano a sacrificare vite di innocenti utilizzando come scudo le abitazioni di civili. Di conseguenza le operazioni militari mirate a stanare i terroristi colpiscono intere famiglie che con i talebani nulla hanno a che fare.
Bennett ha sottolineato che le morti di civili causate dalle truppe della Nato o Usa sono un problema complesso e "difficile da
sbrogliare".
"In alcuni casi le persone sono considerate talebani da una parte e civili dall'altra", spiega. "Molti afgani hanno armi nelle proprie case. Ma possono non essere talebani. Oppure possono esserlo o appartenere ad altri gruppi di insorti".
Le morti dei civili sono uno dei punti di attrito tra il
presidente afgano Hamid Karzai e le forze Nato e americane che spesso negano le responsabilità dei bombardamenti o delle azioni contro la popolazione vigliaccamente strumentalizzata dai talebani.
Ogni qualvolta si contano vittime tra la popolazione, l’Isaf puntualizza di «non essere al corrente di coinvolgimenti di civili nelle operazioni militari».Poco più di tre settimane fa, nell’area di Shindand, nella parte meridionale di Herat (zona di competenza dei militari italiani), un raid aereo della coalizione a guida Usa aveva fatto oltre cinquanta vittime civili scatenando manifestazioni antiamericane in tutto il paese. Proprio riferendosi a questo episodio, il ministro della difesa italiano Arturo Parisi, visitando settimana scorsa l’Afghanistan aveva chiesto un maggior coordinamento tra la coalizione a guida Usa e le truppe Isaf definendo «inaccettabili» i raid americani. Ma ieri, con i nuovi caduti tra la popolazione, la posizione e le parole del ministro Parisi appaiono del tutto vuote e inutili.

Proprio dall’Afghanistan ci arriva una testimonianza diretta di una persona attivamente coinvolta in Ib4D e che da alcuni giorni è nella provincia di Herat.
E’ un racconto intenso, impregnato delle sensazioni che quel mondo - a molti di noi sconosciuto – trasmette a chi si trova faccia a faccia con la drammaticità di questa martoriata realtà… ma scopritelo da soli. Tuffatevi in questa lettura e carpitene l’importante, forte e consapevole messaggio che trasmette.

Grazie a te, caro amico… lontano ma sempre presente!

AN

Viaggio nell’inferno afgano

Naseer Ahmad è il capo della polizia di Farah. Un guanto nero nasconde la sua mano sinistra, ma nulla può l’occhio di vetro contro la durezza del suo sguardo monocolo, mentre mi racconta i suoi dolori.
- Ho perso quattro persone della mia famiglia, in questa regione, quando mio fratello era capo della polizia. I nemici gli hanno teso una imboscata e lo hanno ucciso, insieme agli altri della famiglia che viaggiavano con lui.
Lo dice senza mai voltarsi, a indicare un luogo, una direzione, ma aggiunge:
- Io so chi è colpevole in quest’area.

Siamo partiti all’alba, ancora immersi nel silenzio della notte che è andata, e ancora ce lo portiamo dentro il silenzio, per tutto il viaggio fino al punto di stazionamento, con il solo timore di essere preda di un ordigno ben posizionato.
Per il resto, sembrano invincibili le corazze metalliche entro cui ci muoviamo, loculi arroventati “solo per altri”: - si vede che era destino - dicono.
I warnings di possibili presenze talebane si rivelano fortunatamente infondati, così niente disturba il nostro procedere lungo la striscia d’asfalto che divide solitaria questa regione, da Herat a Kandahar, la ‘ring road’.
Dai finestrini blindati scorre un film mai visto prima: improbabili bazar di stracci e ricambistica contornano le vie dei piccoli villaggi tra gli sguardi acerbi ma talvolta benevoli di giovani e adulti. Chiuse in tante piccole case di fango, arricchite spesso da imprevedibili, anche nella loro semplicità, cupole e decorazioni, le famiglie consumano lente la loro porzione personale di storia. Ci sono tanti bambini per le strade nei villaggi, in gruppi o con il proprio padre, corrono verso la strada incuriositi, oppure indifferenti verso la campagna, sono piegati a cercare l’acqua dentro un pozzo, o a portarla in casa alla madre parca di carezze.
Scorrono via veloci gli occhi dei bambini del distretto di Shindand, e portano via con loro un po’ della mestizia di questi posti.
A guardarla dall’alto questa regione sembrerebbe un immenso deserto inospitale, eppure l’uomo vi abita da sempre, con fare riservato.
Sullo sfondo, spirali di polvere e vento si alzano al cielo. Ma anche il vento si prende delle pause ogni tanto e il tempo si fa più afoso. Poi, lentamente, riprende a soffiare. E il giorno prende infine il largo.

L’interprete, Mohammed A., mi confida che anche lui è stato testimone di un’altra sciagura. Ha 25 anni, ma ne dimostra ben più di un coetaneo europeo.
- Avevo circa vent’anni. Più di cento persone erano di fronte a me, alla fermata dell’autobus, [a Herat, ndr.]. Sono stati tutti uccisi da un razzo, non so perché e da dove venisse, ma io sono sopravvissuto, e questo è il potere di Dio.
E’ mussulmano, ma non dice Allah, traduce ‘God’. Più tardi gli chiederò se sia praticante, e perché non lo abbia mai visto volgersi alla Mecca: - Non puoi vedermi pregare perché questo non è un buon posto, Dio lo sa.
Mohammed ha tre fratelli, e vive con la famiglia benestante a Herat, dove si è laureato in Lingua Inglese.
Era alle scuole medie quando il regime dei talebani si incamminava verso il tramonto. - Gli studenti volevano essere liberi di conoscere, studiare, fare feste con amici, ballare, andare al cinema e ai concerti, ma tutto ciò era impossibile - e – sei, sette anni fa le ragazze non potevano andare all’università. Come tanti altri ragazzi della sua età,
Mohammed si rifugiava nella sua - special room - con il computer e la televisione satellitare. I mass media possono migliorare l’aspirazione di libertà – mi dice Mohammed, che invitava anche i suoi amici dentro la stanza, ma - fuori solo picnic.
- Hai mai avuto paura che i talebani venissero a conoscenza della tua stanza? O che i tuoi vicini glielo dicessero? – gli domando.
- No, i miei vicini non potevano sapere della mia stanza, perché era dentro casa e nessuno poteva accorgersene.

All’ombra di un edificio,
Mohammed ed io guardiamo di fronte a noi le montagne bruciate dal sole. Mohammed mi conferma che all’inizio dell’estate, nella stagione delle piogge, queste stesse montagne sono verdi.
- Ora può iniziare una nuova era di sviluppo e democrazia per l’Afghanistan, che ne pensi?
- Si, ora ci saranno grandi possibilità di sviluppo economico. Ma speriamo che il tempo dei combattimenti finisca e si faccia tanto per migliorare l’istruzione del popolo
afghano.

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