Il blog di Italians for Darfur

martedì, luglio 31, 2007

Pronta la nuova risoluzione Onu

Al voto il testo che autorizza la missione entro ottobre


Sembra proprio che oggi sia il gran giorno. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu potrebbe mettere al voto la risoluzione che autorizza il dispiegamento di una forza di pace ibrida, Onu e Unione africana (Ua). Nella tarda serata di ieri, Gran Bretagna e Francia hanno infatti presentato la terza versione della proposta in discussione da settimane al Palazzo di Vetro.
Jean-Pierre Lacroix, numero due della missione francese all'Onu, ha dichiarato che le consultazioni con i membri del Consiglio di sicurezza sono andate molto bene e in “spirito di trasparenza con l'Ambasciatore del Sudan abbiamo cercato di tenere in considerazione le preoccupazioni di tutti, ma preservando l'integrità del mandato della forza, attenti a dare
indicazioni per il dispiegamento dei peacekeeeper ambiziose in termini di calendario, ma anche realistiche".
L'ambasciatore cinese all'Onu, Wang Guangya, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, ha precisato che il voto potrebbe arrivare nel pomeriggio di oggi e anche se ha aggiunto che "bisogna essere precisi e attenti sucome applicare la risoluzione", Pechino ha fornito un ok di massima al testo franco-britannico.
I diplomatici bene informati si dicono fiduciosi dell'approvazione del testo.
L'ultima versione della bozza, ottenuta dalla France presse, prevede che la forza congiunta Onu-Ua, ribattezzata Unamid, cominci a dispiegare "mezzi operativi" in vista della creazione di un quartier generale "entro l'ottobre 2007".
L'Unamid dovrà quindi subentrare alla forza di pace Ua presente dal 2004 in Darfur "appena possibile e non più tardi del 31 dicembre 2007". La forza di pace conterà complessivamente 26.000 uomini: 19.555 militari, 3.772 agenti della polizia internazionale e 19 unità di polizia per complessivi 2.660 uomini.
Adesso non resta che aspettare. Le indiscrezioni trapelate finora da ambienti diplomatici sembrano tranquillizzanti, ma sappiamo bene che le sorprese dell’ultimo momento dei membri filo-sudanesi del Consiglio Onu non sono mai mancate! Incrociamo le dita e speriamo.
Vi terrò aggiornati.
Anto

Aggiornameno alle 22:10

Ecco la notizia che tutti aspettavamo!

DARFUR: ONU, ACCORDO UNANIME PER INVIO 26MILA SOLDATI/ ANSAPER ARGINARE I MASSACRI. PRESSIONI BROWN,

(di Emanuele Riccardi)

(ANSA) - NEW YORK, 31 lug - Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato oggi all'unanimita' l'invio di una forza internazionale nel Darfur, accogliendo le pressioni del primo ministro britannico Gordon Brown. Ai circa 7mila militari dell'Unione Africana (Ua) dislocati nella regione del Sudan martoriata dalla guerra civile (con oltre 2 milioni di sfollati e 200mila vittime in 4 anni) e provenienti da Ghana, Senegal, Kenya e Benin, se ne aggiungeranno entro ottobre altri 13mila, essenzialmente africani, oltre a circa 6mila poliziotti. L'obiettivo e' che la forza risulti operativa entro la fine dell'anno, come indica la risoluzione numero 1.769, tra i cui co-sponsor c'e' l'Italia. Dopo essere stato ricevuto dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush ieri a Camp David, nel Maryland, Brown e' passato per New York, dove ha visto il segretario generale Ban Ki-moon, e ha pronunciato un discorso alla biblioteca del Palazzo di Vetro. Il premier, ricordando che quella del Darfur e' ''la piu' grossa catastrofe umanitaria del momento'', ha anche auspicato il rilancio della lotta internazionale contro la poverta', visto che i cosiddetti obiettivi Onu per il Millennio, con il dimezzamento entro il 2015 del numero dei poveri, sono lungi dall'essere raggiunti. La risoluzione era stata presentata inizialmente dalla Francia e dalla Gran Bretagna, paesi ai quali si e' poi unita l'Italia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza per il biennio 2007-'08. Prendendo la parola subito dopo il voto, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha parlato di ''operazione storica e senza precedenti'' che inviera' ''un segnale chiaro e potente'' per aiutare il popolo del Darfur. 'E l'inizio, non la conclusione, di un nuovo impegno della comunita' internazionale'', Marcello Spatafora, l'ambasciatore italiano, ha commentato in questi termini, e con grande soddisfazione il voto unanime del Consiglio di Sicurezza. ''La forza di mantenimento della pace -ha aggiunto Spatafora- rappresenta una componente essenziale dell'azione internazionale volta a riportare la pace nel Darfur''. Dopo avere ricordato l'importanza degli altri canali, quello umanitario e quello dello sviluppo, Spatafora ha concluso esprimendo la speranza che l'incontro prossimamente in calendario ad Aruba, ''veda la partecipazione dei principali movimenti ribelli, , portando ad una piattaforma condivisa in vista dei negoziati con il governo di Karthum''. La futura forza di pace gestita dalle Nazioni Unite e dell'Unione africana verra' dispiegata entro ottobre e sara' operativa entro la fine dell'anno. Il contingente Onu-Ua sara' formato da oltre 26 mila uomini: 19.555 militari, 360 osservatori, 6.432 agenti di polizia divisi in 19 unita'. E' prevista inoltre una componente civile di 3.722 uomini e donne. L'Unamid, questo il nome della cosidetta missione 'ibrida' gestita da Onu e Unione africana, sara' la piu' imponente missione delle Nazioni Unite, superando quella in Congo (Monuc), e assorbira' i 7 mila soldati dell'Ua presenti sul campo da tempo, mal equipaggiati e poco efficaci. I costi previsti per il primo anno sono di circa 2 miliardi di dollari. Secondo le informazioni che circolano al Palazzo di Vetro, e' previsto che Ghana, Senegal, Kenya e Benin raddoppino i propri contingenti, complessivamente da 7 mila a 14 mila uomini. I rimanenti 6 mila uomini dovrebbero essere teoricamente forniti da Egitto e Nigeria, ma non e' esclusa la partecipazione di paesi non africani. Pakistan e Cina, infine, forniranno personale non militare, come medici ed ingegneri
RL31- LUG-07 22:08 NNNN

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lunedì, luglio 30, 2007

Dal Sudan: Gli Ebrei dietro al conflitto in Darfur

Il ministro della Difesa sudanese dice che “ventiquattro organizzazioni ebree alimentano il conflitto”

di Yaakoc Lappin


Abdel Rahim Mohamed Hussein, ministro della Difesa del Sudan, ha accusato “ventiquattro organizzazioni ebree” di “alimentare il conflitto in Darfur”, in un’intervista rilasciata la scorsa settimana ad un quotidiano saudita.
Hussein è stato intervistato durante una visita ufficiale al regno saudita occorso la scorsa settimana.
Un giornalista del quotidiano Okaz aveva chiesto: “Alcuni riferiscono di una penetrazione di organizzazioni ebraiche in Darfur?”
La questione del Darfur è alimentata da ventiquattro organizzazioni ebree, che stanno facendo un grandissimo rumore sull’argomento, usando l’Olocausto nella loro campagna”, ha replicato il ministro. Hussein ha poi aggiunto che quel conflitto è spinto da frizioni tra agricoltori e pastori. Tra i maggiori problemi c’è l’acqua, impiegata per ingrandire i problemi e rinfocolare il conflitto.
Questi gruppi ebrei stanno dando supporto finanziario?”, ha chiesto l’intervistatore.
”, ha risposto Hussein. “Forniscono supporto politico e materiale grazie al controllo dei media e attraverso gruppi inglesi ed americani”, aggiungendo che questi gruppi stanno usando “tutti i mezzi possibili per nutrire il conflitto”.
Ha aggiunto che le cifre occidentali di 200.000 morti sono false: “Si parla di 9.000 morti come risultato di azioni sia dei governativi, sia dei ribelli”.


Ringraziamo l'amico Mango di Treviso per la segnalazione.

Argomenti correlati: Onu, in Darfur c'e' pulizia etnica - ANSA 2007-07-27 13:36

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giovedì, luglio 26, 2007

Il triste destino di un popolo, la maledizione di un continente.

E' in studio all' Unione Europea un piano "ponte" per il Darfur, primo passo per la realizzazione di una vera e propria missione di interposizione tra il Darfur e la Rep. Centroafricana e il Ciad, a difesa dei 170.000 rifugiati accolti nei campi profughi di questi Paesi.

Si susseguono infatti gli attacchi e gli sconfinamenti delle milizie janjaweed, che vanno a mischiarsi alle forze antigovernative poste proprio lungo i confini, con il serio pericolo di destabilizzarne i Paesi nei quali molti dei civili in fuga cercano rifugio [BBC Pictures].

Saranno soprattutto la Francia e la Gran Bretagna a impegnare i propri uomini sul campo. La Francia, in particolare, userà le forze già dislocate stabilmente in Ciad, circa 1300 militari, rafforzate in sostegno al Presidente Idris Deby dopo le tensioni sorte alcuni mesi fa con due formazioni antigovernative, e in Centrafrica, in sostegno al Presidente Bozize, generale succeduto con un golpe al democraticamente eletto Patassé. Una delle accuse mosse proprio da questi Paesi al Sudan è di armare i ribelli antigovernativi e di spingere volontariamente i janjaweed oltre i propri confini.

Nonostante in Consiglio di Sicurezza dell'ONU si stiano discutendo le modalità di invio dei contingenti di pace misti, UA - ONU, di 26.000 unità, l'avvio della missione non avverrà prima del 2008 e nessuna nuova sanzione verrà applicata al governo di Karthoum se ostacolerà il processo di pace. Eppure il contingente dell'ONU era stato accettato proprio grazie alle minacce di nuove sanzioni da parte degli USA e GB. Tutto questo mentre gli scontri si intensificano, coinvolgendo sempre più anche i convogli umanitari del Programma Mondiale Alimentare (PAM), che distribuiscono ai profughi del Darfur tonnellate di alimenti. Con queste premesse, le sedie al tavolo della pace ad Arusha, Tanzania, che si dovrebbe tenere nelle prossime settimane, rischiano di restare vuote.

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domenica, luglio 22, 2007

Sotto al Darfur c'è un lago d'acqua dolce

La notizia è di quelle forti: sotto al Darfur c'è un enorme lago sotterraneo, una riserva d'acqua dolce che sarebbe risorsa fondamentale per la vita nella martoriata regione.
La scoperta è stata fatta da Farouk El-Baz, direttore del Centro di teleanalisi dell'Università di Boston (Massachusetts), che ha ottenuto un'immagine tridimensionale delle profondità dell'area grazie ai dati provenienti da tre diversi satelliti. Il lago è 573 metri sotto il livello del mare ed ha l'incredibile superficie di 30.750 km2.
Si stanno mobilitando iniziative internazionali per trivellare e fare i pozzi. Il governo sudanese si è subito impegnato, così come l'Egitto, che dovrebbe realizzare i primi venti pozzi. Da alcune fonti si viene a sapere che anche la Cina starebbe proponendo il suo aiuto.
Un articolo pubblicato su RTLinfo.be è online qui (in francese).

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Un piano per il Darfur

Pubblichiamo una traduzione ampia ma non integrale dell'intervento tenuto il 21 giugno da Andrew Stroehlein, Media Director di International Crisis Group e blogger, alla Commissione esteri della Camera dei Deputati. L'audio dell'incontro è qui [L.S.]

La crisi del Dafur non è solo un’agonia sul territorio, ma sta diventando anche una crisi della volontà internazionale.

Dopo più di quattro anni dall’esplosione del conflitto darfuriano, la situazione nel Sudan occidentale resta difficile. Nonostante a parole siano bendisposti ad un accordo di pace, il governo e le fazioni ribelli s’impegnano nella soluzione militare. La dimensione della crisi quasi sorpassa la nostra capacità di descriverla (…): la zona del disastro si sta espandendo ai confinanti Chad e Repubblica Centroafricana. (…)
Una delle principali ragioni del fallimento degli sforzi internazionali è stata la mancanza d’un comune approccio e strategia. Gli Stati Uniti chiedono pressione sul Sudan, mentre la Cina, che lì ha interessi economici e petroliferi, difende quel governo. Recentemente la Cina ha nominato Liu Guijin inviato speciale in Darfur, mostrando verso il Darfur interesse in un impegno politico che è tutto da verificare.
Khartoum usa le divisioni internazionali per allontanare la pressione. La recente promessa di accettare una forza di pace ibrida, africana e delle Nazioni unite, va trattata con profondo scetticismo: non hanno accettato null’altro che non avessero già accettato nel 2006.

Crisis Group ritiene che la comunità internazionale dovrebbe concordare un approccio in Sudan con tre obiettivi:
1) rendere prioritario il processo politico in Darfur;
2) rifocalizzare l’attenzione sull’accordo di pace del 2005;
3) attivare sanzioni punitive.


1) Rendere prioritario il processo politico in Darfur


Nel maggio 2006 fu firmato il DPA, Darfur Peace Agreement, in Abuja. I ribelli dello SLA si sono frammentati in numerose nuove fazioni dopo che il Segretario generale SLA, Minna Minawi, ha firmato l’accordo rifiutato dal Presidente SLA Abdel Wahid el Nur.
Il partito al governo, NCP (National Congress Party) continua a perseguire una strategia di tipo “divide et impera”, frammentando i ribelli corrompendo comandanti, armando selettivamente singole etnie o imponendo leadership tribali all’interno di più ampi gruppi di ribelli.
Crediamo sia necessario agire sui seguenti punti:
- unificare i movimenti dei ribelli; (…)
- ampliare la partecipazione a trattative future; (…)
- rinforzare la struttura dei negoziati. (…)
Considerando la complessità della situazione e l’elevato numero di attori già sulla scena, raccomandiamo la creazione di un limitato gruppo internazionale di mediazione, comprendente Cina, Nazioni Unite, Francia, Norvegia, Lega Araba, Chad e Eritrea.


2) Rifocalizzare l’attenzione sull’accordo di pace del 2005

Il Compehensive Peace Agreement (CPA) del gennaio 2005 ha messo fine 21 guerre civili in cui oltre 2 milioni di persone sono morte e oltre 4 milioni sfollate. Ha segnato una grande vittoria della diplomazia locale ed internazionale. Tuttavia, dopo meno di 30 mesi è in difficoltà e la comunità internazionale si è pericolosamente disimpegnata.
Il CPA è fondamentale per la pace tra nord e sud (…): a differenza del DPA è già inglobato nella Costituzione e comprende ampie riforme del governo, fin ad un processo di democratizzazione culminante nelle elezioni nazionali del 2009.
Se completamente implementato, il CPA (…) si farebbe carico delle rimostranze dei sudanesi in Darfur, Sudan dell’est, Sudan del sud, Kordofan e nel nord.
Queste riforme porterebbero ad una giusta rappresentanza di tutti questi popoli nelle istituzioni del governo nazionale, nella trasparenza fiscale e finanziaria nei trasferimenti dal governo centrale verso le singole aree. Tuttavia queste ed altre misure sono sistematicamente ignorate o manipolate dall’NCP.

Inoltre la mancata implementazione del CPA manda ai darfuriani il segnale di non fidarsi di questo governo. (…)
La Comunità internazionale deve urgentemente reimpegnarsi sul CPA.


3) Attivare sanzioni punitive

I quattro anni finora passati hanno dimostrato molto chiaramente la necessità di reale pressione sulle parti, principalmente sul governo guidato dall’NCP, perché renda conto del suo impegno nel CPA e in Darfur. Nonostante la promessa di disarmare gli alleati janjaweed o di arrestare i bombardamenti aerei in Darfur, Khartoum ha continuato a perseguire la stessa esatta politica, con ben piccolo ascolto della comunità internazionale.

Khartoum deve essere messa davanti ad un costo reale delle continue violazioni dei suoi ripetuti impegni e alla continuazione di una strategia militare. Se forte e credibile, le corrette misure punitive possono grandemente influenzare l’NCP. L’estensione delle sanzioni degli USA, recentemente annunciata, è troppo unilaterale per ottenere l’effetto desiderato. Deve agire anche l’Unione europea.

L’UE deve imporre divieti d’ingresso e bloccare le proprietà di tutti gli individui nominati nei report della Commissione d’inchiesta e del Gruppo di esperti degli USA. I ministri degli esteri che s’incontrano al Gaerc (General Affairs and External Relations Council) in luglio dovrebbero considerare misure sui flussi di denaro provenienti dal settore petrolifero sudanese e da investimenti esteri, così come forniture di beni o servizi a questi settori e a quelli associati.
Dovrebbero inoltre autorizzare un’indagine giudiziaria dei conti offshore collegati ad attività sudanesi e l’NCP di Khartoum, come premessa per sanzioni alle entità commerciali del regime – la principale modalità di finanziamento delle locali milizie Janjaweed che hanno fatto così tanti danni in Darfur.

(…)

Oltre a ciò che può essere fatto al livello europeo, l’Italia ha una particolare responsabilità in Darfur, in quanto quest’anno è stata presidente del Comitato per le Sanzioni al Sudan delle Nazioni Unite. Nei due anni della sua esistenza, questo comitato non è riuscito a fare alcuna pressione sulle parti in conflitto. Nonostante la gran mole di prove a disposizione, i membri del Comitato non sono riusciti a trovare accordo neanche su quattro individui sui quali attivare sanzioni.

L’Italia ha assunto la presidenza della commissione cinque mesi fa e dovrebbe usare questa importante posizione per aumentare la rilevanza del lavoro del comitato. E’ particolarmente importante alla luce dell’inazione sulle violazioni dell’embargo delle armi in Darfur e di altri passi verso la pace, da parte del governo e dei ribelli.
Per esempio il presidente potrebbe fare una visita di alto livello in Darfur per sottolineare le preoccupazioni internazionali. Potrebbe anche invitare a parlare Antonio Cassese, capo della commissione d’indagine per il Darfur nel 2005 ed anche altri.
Potrebbe usare il mandato della commissione, che prevede un report al Segretario Generale delle NU “almeno ogni 90 giorni” per mettere pressione e sostenere la volontà politica verso azioni serie.


Conclusioni: servono metriche di valutazione

Senza una reale pressione per punirne il mancato rispetto il CPA continuerà a restare nell’ombra, la guerra probabilmente continuerà in Darfur e probabilmente tornerà ad estendersi all’intero Sudan.

(…) Oltre agli sforzi già in corso, bisogna cercare di porre future misure punitive direttamente nella strategia. L'’E dovrebbe impegnarsi con i principali attori in Sudan; UN e AU, Cina, Malesia, India, Russia, US e stati della Lega Araba e dell’Africa, dovrebbero sviluppare una lista comune di attività misurabili su CPA e Dafur a scadenza 3, 6, 12 e 24 mesi.
L’accordo per ciascuna delle azioni da richiedere (…) dovrebbe essere completo di ciò che accadrà se l’impegno non verrà rispettato.

(…) Il crescente desiderio della Cina d’impegnarsi con Khartoum sul Darfur crea un’opportunità per questo tipo di discussione, sebbene sfortunatamente Pechino non sarà presente al meeting sul Darfur che si svolgerà a Parigi la prossima settimana.

(…) Il mondo deve cambiare il suo approccio al Darfur (…). Maggior cooperazione internazionale sul Sudan è il più breve percorso per raggiungere l’obiettivo.

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venerdì, luglio 20, 2007

Campagna di disinvestimento mirato: export italiano aumentato di oltre l' 80% dall'inizio del massacro in Darfur

L'Italia, con un export aumentato di oltre l'80 per cento rispetto al 2004, ha guadagnato una quota di mercato, nella lista dei fornitori esteri, pari al 3 per cento, con investimenti diretti di 2 milioni di dollari nel solo primo semestre 2006. *
Sono molte le grosse aziende italiane presenti sul territorio sudanese. La più importante è la APS Engineering Company Roma, società attiva nel campo della progettazione e
realizzazione di impianti petroliferi, gas, petrolchimici, ecc., che ha acquisito un importante contratto nei quadro della realizzazione "Grass Root" di una grossa Raffineria a Port Sudan. L'investimento previsto e' di qualche Miliardo di dollari. Presenti anche Enel Power (costruzione di una stazione di pompaggio idrico in zona Kash el Girba); Technosystem (progettazione, costruzione, integrazione e fornitura di apparati e di sistemi di broadcasting in particolare trasmettitori); Meregalli (contratto di 6,7 milioni di euro per la fornitura e l'installazione di una stazione di pompaggio delle acque del Nilo nello Stato del Sinnar, cofinanziato dal Ministero delle finanze sudanese); CMC (costruzione di un albergo su finanziamento libico); The Italian Tourism Co. Ltd. (costruzione di un albergo nella zona di Karima e di un campo tendato nella zona di Merowe); Società Nuova Magrini (produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche); Ascot (progettazione e realizzazione di macchinari e di impianti per la produzione di energia elettrica e termica).

La graduatoria dei fornitori vede al primo posto l'Arabia Saudita (quota di mercato 11,4 per cento), seguita dalla Cina (con una quota di mercato del 10,6 per cento), Emirati Arabi (6 per cento) e dall'Italia (3 per cento).


*dati della Camera dei Deputati e del Ministero degli Affari Esteri

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giovedì, luglio 19, 2007

A chi può interessare la divisione dell’SLM?

di Suliman Ahmed Hamet
Presidente SLM in Italia
Articolo in arabo apparso l’11 giugno 2007 su darfuronline.com

Quando, il 13 febbraio 2003, è nato l’SLM, tutte le tribù africane del Darfur (appartenenti a circa 83 etnie diverse) ne facevano parte come fratelli, figli di un’unica madre, uniti nella difesa della propria terra e contro i janjaweed. Non esisteva al loro interno alcuna divisione fra Masalit, Zaghawa, Fur ed altri; si viveva tutti in armonia.
Nell’anno 2004 i figli del Darfur sparsi nel mondo come rifugiati politici hanno organizzato numerose manifestazioni in molte grandi città come Roma, Londra, Parigi, Amsterdam, Bonn, New York, Washington e altre ancora. In quell’anno la sensibilizzazione del mondo sui problemi del Darfur ha raggiunto il picco massimo (in qualche Pese del mondo si è sentito per la prima volta parlare di Sudan proprio attraverso le problematiche del Darfur). Tutto questo fermento, questa attenzione mondiale ha avuto come effetto di ritorno una maggiore unione dei figli del Darfur tra loro.
Alla fine del 2004 il governo ha messo in atto la seguente strategia: ha inviato alcuni suoi membri originari, per la nascita del Darfur, nella “Terra Liberata”, Aradi el-Muharrara, in mano all’SLM. Tali individui si sono presentati come dei fuoriusciti dal governo e molto critici contro l’operato dal governo e la loro stessa precedente partecipazione ad esso. Insomma dei “pentiti” e sono così entrati nelle file del Sudan Liberation Mouvement.
Da quasi subito dopo la loro entrata si è cominciata ad avvertire un’aria diversa dentro l’SLM: quelle diverse etnie che lo costituivano rappresentandone forza e ricchezza ora cominciavano ad entrare in contrasto tra loro.
Nell’arco del 2005 l’SLM, prima unito, si divide al suo interno in due gruppi grandi, più altri numericamente meno rilevanti.
Gli infiltrati di provenienza governativa cercano di individuare il gruppo più forte affinché sia il prescelto per trattare con il governo, contando che in tal modo si mettano a tacere gli altri gruppi.
Il 5 maggio 2006 viene firmato un accordo di pace ad Abuja, in Nigeria, sotto l’egida dell’Unione africana, fra Minni Minawi, presidente del gruppo maggioritario dell’SLM e il governo.
Il 23 aprile 2007 il governo ha proditoriamente trucidato –con i carri armati!- otto uomini facenti parte del suddetto gruppo maggioritario che erano a Karthum per portare avanti le trattative. Dopo questa data un folto numero di militanti del gruppo di Minni, circa la metà del totale, ha lasciato il gruppo stesso e si trova ora contro Minni e contro il Governo.
Tutte le componenti dell’SLM devono denunciare al più presto e con gran forza le azioni del Governo e la sua strategia delle spie, causa di tutte le divisioni al suo interno.
Se questa denuncia non verrà fatta ovunque nel mondo, il futuro dell’SLM sarà simile a quello di Al-Fatah e di Hamas in Palestina.

Suliman Ahmed Hamet
Presidente SLM in Italia
kois2778@maktoob.com
kuis08@yahoo.com
0039 348 793798282

Aggiornamento #1: Cinque gruppuscoli di ribelli si uniscono nell'ULFD - Reuters 14/07
Aggiornamento #2: il JEM si divide ancora - Reuters 30/07

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mercoledì, luglio 18, 2007

Gli arabi stanno rimpiazzando i darfuriani?


E' già di qualche giorno fa la notizia secondo cui il governo sudanese sta ripopolando con arabi le terre levate ai darfuriani. Secondo le indiscrezioni pubblicate, tra gli altri, da The Independent, un report delle Nazioni Unite parlerebbe di 30 mila arabi in due mesi.
Il numero potrebbe essere già oggi grandemente sottostimato; altre fonti parlano di ulteriori 45 mila arabi provenienti dal Niger.
L'operazione potrebbe essere collegata alle elezioni, attese tra due anni dopo il colpo di stato (1989) dell'attuale Presidente, Omar al-Bashir.

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sabato, luglio 14, 2007

Ritorno dall'inferno del Darfur con una speranza

Volti, sguardi, preghiere inascoltate… La rabbia repressa e il dolore immane per una vita strappata, una dignità violata, una ferita aperta che il tempo non riesce a sanare. Tutto questo e molto di più è il Darfur, la regione del Sudan martoriata, da oltre quattro anni, da un conflitto che ha causato oltre trecentomila morti e costretto due milioni di persone ad abbandonare i propri villaggi, attaccati dai janjaweed, i cosiddetti ‘diavoli a cavallo’, predoni senza scrupoli manovrati, secondo fonti internazionali, dal regime di Khartoum.
Dalle notizie delle ultime settimane sembrerebbe che il governo sudanese sia pronto a dar seguito al proposito di accettare il dispiegamento della forza Onu – Ua, approvata con una risoluzione nel 2006, ma non ha fornito alcuna garanzia che ciò avvenga in tempi rapidi. E proprio questo è il cuore del problema. La crisi umanitaria, già gravissima, rischia di diventare incontrollabile: gli sfollati e i rifugiati sono ormai un terzo della popolazione. Solo nell'ultimo anno ne sono stati censiti 400 mila in più.
Nonostante la complessità della situazione che si è delineata nel corso delle ultime visite degli osservatori delle Nazioni Unite, e le preoccupazioni esternate dagli operatori delle Ong coinvolte nella missione Amis, uno spiraglio di speranza sembra accendersi soprattutto per la disponibilità espressa, per la prima volta, dal Jem - movimento di ribelli che non ha firmato gli accordi di Abuja del maggio 2006, sottoscritti solo da una delle fazioni che si contrappongono al governo di Khartoum - a discutere di una nuova soluzione politica.
Anche sulla forza ibrida di interposizione, composta da Caschi blu e militari dell’Unione africana, i ribelli si sono detti favorevoli, ma hanno manifestato perplessità sulla convenienza del dispiegamento del contingente prima che l’area sia realmente pacificata.
“Il principale impegno del nostro movimento – ha affermato Mohamed Bashir. rispondendo alla domanda che gli ho posto chiedendogli quale fosse il loro obiettivo- è quello di giungere al più presto a un accordo che soddisfi le aspettative della maggioranza dei darfuriani. Ma per garantire il fine della pace è necessario che la comunità internazionale faccia pressioni su Khartoum affinché le richieste del popolo del Darfur siano pienamente soddisfatte, in particolare quelle relative alla spartizione del potere e della ricchezze del paese. Vogliamo la pace, e la vogliamo subito per la nostra gente che soffre".
Basta parlare con i cooperanti presenti nella provincia di Al Fasher, nord Darfur, e i rifugiati dei campi che accolgono gli sfollati sopravissuti alle violenze delle milizie arabe per comprendere i timori di chi ritiene che l’arrivo di un contingente, che si frapponga tra le parti in conflitto. non basti a risolvere la tragedia umanitaria in atto.
Girando tra le capanne di Al Salam, dove sono assiepati 50mila disperati, è facile rendersi conto dell’emergenza che si sta vivendo nella regione.
Dopo gli ultimi arrivi della primavera scorsa, non c'è più posto nel campo e il governo sudanese, che controlla quest’area, non intende ampliarlo. Non viene più accettato nessuno. Il messaggio degli sfollati e di chi li assiste è forte e
chiaro. ''Fate presto”. Il dramma che si vive qui è lo stesso di tanti altri centri di accoglienza: poca acqua, cibo appena sufficiente, rifugi di fortuna e tutt’intorno il nulla.
L’appello di aiuto viene pronunciato da tutti gli interlocutori che si incontrano. Un'invocazione che si legge sul volto delle donne e degli uomini assiepati nell’accampamento che dovrebbe garantirgli la sicurezza. E invece non è così. Dopo le quattro, appena comincia a calare il sole, gli operatori umanitari e gli addetti ai controlli vanno via per passare la notte a Al Fasher. Ad Al Salam, un’enorme distesa di tende e di capanne che si estendono per chilometri nell’arido deserto sudanese, interrotte solo dalle tre gradi cisterne dove si conserva l'acqua, cala il buio: non ci sono generatori. E nessuna difesa.
Una situazione disperata, che coinvolge sempre più persone inermi, per lo più bambini e donne. Proprio queste ultime sono le principali vittime delle milizie arabe che, a detta delle ong presenti sul territorio, sarebbero utilizzate dai vertici governativi di Khartoum nella guerra contro la ribellione darfuriana.
Nel campo le testimonianze delle violenze sono tante. Donne e adolescenti picchiate, torturate, stuprate. Vittime penalizzate due volte: quelle che sopravvivono allo stupro e lo denunciano, oppure non riescono a nasconderlo, vengono rifiutate dai mariti e allontanate dalle comunità.
Il racconto di Kalima, che parla solo arabo e riesce a comunicare con noi grazie a un’operatrice di Icr, la ong che gestisce il campo, e tra i più dolorosi.
“Mia cognata è stata presa da un gruppo di tre uomini – dice con lo sguardo basso e senza smettere di intrecciare il cesto a cui lavora insieme alle altre donne impegnate nei laboratori organizzati dai cooperanti - Si era allontanata dal villaggio, ma non tanto, per raccogliere legna. Era sola. E proprio per questo l’hanno punita. L’hanno violentata perché, le hanno detto, non muovendosi in gruppo se l’era cercata. Quando è tornata e ha raccontato quello che era successo mio fratello l’ha cacciata e nessuno della famiglia l’ha aiutata. Ora è morta…”
Non aggiunge altro Kalima. Non può. La nostra interprete ci dice che spesso le donne che subiscono questa tragica sorte si suicidano. Chi viene emarginato dalla comunità non ha molte speranze. L’inferno del Darfur è anche questo.

Antonella

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domenica, luglio 08, 2007

Missione italiana in Darfur:ci siamo anche noi


Ragazzi ci siamo. Dopo essere riusciti a organizzare il primo Global Day for Darfur a Roma e aver promosso l'audizione alla Camera dei Deputati, dove siamo stati ascoltati dal Comitato per i diritti umani insieme ad alcune Ong internazionali con le quali siamo costantemente in contatto, e i rappresentanti dei rifugiati in Italia del Darfur, domani - grazie al nostro impegno - una delegazione di deputati e giornalisti partirà dall'Italia per andare in Darfur.
Insieme al gruppo di parlamentari e giornalisti ci sarò anch'io. Ovviamente al mio rientro vi racconterò tutto e cercherò di documentare il meglio possibile, sia con foto che von video, quella che è la reale situazione nella regione sudanese e in particolare delle condizioni in cui vivono gli sfollati nei campi di accoglienza.
Quella della Commissione esteri della Camera è una missione che ha l’intento di constatare la gravità della crisi in Darfur. Questa iniziativa segue l’audizione di alcune settimane fa a Montecitorio di alcune Ong internazionali, tra cui Oxfam, International Crisis Group e la Caritas, che hanno lanciato l’allarme dell’aggravamento delle condizioni dei campi profughi e della sicurezza in tutta l'area interessata dagli attacchi dei janjaweed.
L’intenso programma consentirà alla delegazione di formarsi un ampio quadro delle posizioni relative alla situazione, in vista della predisposizione di una risoluzione che la Commissione stessa potrebbe approvare al ritorno dal Sudan.
Al momento il presidente Ranieri, in accordo con gli altri membri dell'organismo parlamentare, ha ritenuto di non procedere all’autorizzazione alla ratifica di un accordo italo-sudanese per la reciproca promozione degli investimenti, in attesa di accertare l’atteggiamento di Karthoum nei confronti del Darfur. Al mio ritorno saprò dirvi di più.
Un abbraccio e a presto.
Anto

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giovedì, luglio 05, 2007

IB4D sbarca in MySpace Italia!

Anche la community di MySpace si mobilita nell'intento di far conoscere a sempre piu' persone il dramma del Darfur e la necessita' di una maggiore qualita' dell'informazione in Italia sulle crisi umanitarie, troppo spesso dimenticate. Foto_tratta_da_Mathare...more african
Dopo i blog, speriamo che anche in MySpace la rete si stringa a difesa del Darfur.

Chi "mi piacerebbe conoscere"?

Tutti quelli che hanno a cuore i dirittiumani e difendono il diritto dei meno fortunati e delle minoranze alla vita. Tutti quelli che vogliono piu' informazione e piu' qualita' nei notiziari italiani. Tutti quelli che non vogliono chiudere gli occhi. Tutti quelli che non hanno smesso di crederci.
A tutti questi va il nostro caloroso invito: aiutateci ad aiutare il Darfur.

http://www.myspace.com/italianblogsfordarfur

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domenica, luglio 01, 2007

Gereida: il campo profughi verrà smantellato?


L'Agenzia internazionale Oxfam si ritira dal campo profughi di Gereida. La notizia è del 17 giugno. Gereida, che con oltre 130 mila rifugiati è il maggior campo del Sudan, è sotto il controllo dell'SLM (Sudan Liberation Movement), fazione Minni Minawi. L'agenzia ha raggiunto con la Croce Rossa Internazionale un accordo per la prosecuzione dell'attività a lungo termine.
Oxfam critica la gestione dell'SLM, che non si è curata di migliorare la sicurezza dell'area, nella quale attacchi e furti si susseguono quotidianamente.
Per il comunicato in inglese, cliccare qui.
Per un backgrounder in italiano sulla situazione in giugno, cliccare qui.

Oxfam è un'organizzazione che lavora per trovare soluzioni durevoli alla povertà e alla sofferenza nel mondo.

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