Il blog di Italians for Darfur

giovedì, luglio 31, 2008

Un pomeriggio al Play Art Arezzo festival...

Domenica 27 luglio 2008, vado ad Arezzo per presentare il mio volume “Le sfide della diplomazia internazionale”. Una volta tanto decido di lasciare mio figlio Matteo (tre anni) alla nonna e di andare con mia moglie, per un’iniziativa che ritengo interessante, di grande prestigio e visibilità, per me personalmente e per l’associazione.
Arrivo ad Arezzo verso le 16,30, circa un’ora prima dell’orario previsto per la presentazione, il luogo scelto è splendido, Piazza San Francesco, uno dei luoghi “storici” della città, dove peraltro hanno girato alcune scene del film “La vita è bella” di Roberto Benigni.
Nella piazza è tutto pronto; è stato predisposto un palco perfetto per presentazioni e seminari… noto una gran presenza di posti a sedere, cosa che mi colpisce, perché saranno circa un centinaio e penso che difficilmente potranno essere occupati tutti… non certo per l'oratore e i temi trattati, ovviamente, ma perchè è una domenica pomeriggio di fine luglio...speriamo almeno non si notino tanto i posti vuoti, penso…
Comunque, lascio lo zainetto con i miei appunti ed un po’ di copie del libro e vado a fare un giro, a prendere un caffè, a trascorrere qualche minuto prima di tornare nella piazza ed iniziare la presentazione. Girando per le vie del centro vedo le locandine dei giornali che parlano del successo del festival, giunto alla giornata finale, in cui, per il concerto serale di Max Gazzè e Carmen Consoli, sono previste oltre 10,000 persone! Stando a Roma, in effetti non ci si rende bene conto dell’importanza di questa iniziativa, che ci sembra solo una fra le tante di musica nel periodo estivo, ma che in effetti, a viverla dall'interno e a giudicare dalla presenza di locandine, segnalazioni di eventi e pubblicità varia, caratterizza ed anima la città per oltre una settimana e riunisce, iniziative di musica, letteratura e cinema.
Ritorno verso le 17,40 (come al solito mi chiedono il solito quarto d’ora accademico), vado al bar davanti alla postazione del Play Art dove mi viene presentato Vauro Senesi, noto vignettista de “Il Manifesto” e della trasmissione “Anno zero” di Santoro; una persona che trovo istintivamente simpatica, alla mano, con cui parliamo brevemente del mio libro, dell'associazione e del Darfur.
Ore 17,50 circa inizia la presentazione, mi siedo nello sgabello, che per scomodità farebbe invidia alla famosa (o famigerata…) poltrona di Fracchia, sul quale mi ritrovo appollaiato “stile-gufo” sull’apposito trespolino (coma da foto). Inaspettatamente, le sedie che temevo potessero rimanere desolatamente vuote, ora sono quasi tutte occupate e comincia finalmente la presentazione, condotta da Gabriele Ametrano, giornalista della redazione di Firenze de “Il Corriere della sera”, che mi fa diverse domande sul concetto di escalation del conflitto (il tema portante del volume), la situazione nel Darfur e il conflitto in Cecenia.
Sul Darfur non ho detto nulla di particolare e nuovo rispetto ad una presentazione generale di una situazione che, purtroppo, resta di grande complicazione e stallo dal punto di vista diplomatico, con un rischio anzi di peggioramento in seguito alla richiesta di accusa presentata dal Procuratore generale della Corte Penale Internazionale per il Presidente del Sudan Bashir del 14 luglio scorso.
Concludo la presentazione così come l’avevo iniziata, ossia parlando dell’associazione (dando riferimenti ed indirizzo) e del nostro impegno per favorire, in ogni modo possibile, la conoscenza del conflitto, chiedendo la partecipazione e l’appoggio di un maggior numero di voci…per l’occasione ho pensato allo slogan “Più voci abbiamo, più abbiamo voce”… chissà, magari potrà tornarci utile anche in futuro. In tutto parlo circa 45 minuti e sono soddisfatto perché c’è stata una buona partecipazione e perché mi sembra che la gente sia stata a sentire “attivamente” piuttosto che sonnecchiare al sole di un tardo pomeriggio di fine luglio.
Chiudo la giornata andando a salutare Vauro, il quale mi dice di aver apprezzato l’intervento (soprattutto l’aver chiarito che il conflitto è tutto tranne un conflitto religioso e che la componente etnica è secondaria rispetto alle questioni politiche) e il nostro impegno come associazione. Lui in Sudan c’è stato da poco (a Juba, capitale del Sud) ed è una situazione che conosce bene; lo saluto lasciandogli una copia del libro e invitandolo a scrivere qualcosa sul nostro blog e magari partecipare con un pensiero, una vignetta, qualcosa che possa arricchire il sito. Resto ancora un po’ in zona, fino a quando le nuvole sovrastano il cielo, ormai non più soleggiato e andiamo a riprendere la macchina per tornare verso Roma…è quasi sera...tutto sommato, è stata una giornata positiva.
Stefano Cera per IB4D

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YOUTUBE bloccato in Sudan

I bloggers sudanesi stanno lanciando l'allarme: la Sudanese National Telecommunication Corporation (NTC) ha oscurato YOUTUBE da alcuni giorni. Qui una immagine della pagina bloccata dalla NTC.
Sembra esserci proprio l'organo governativo di controllo dei media dietro il blocco di Youtube, conosciuto in tutto il mondo quale strumento al servizio della libertà di espressione e di parola, dove è possibile trovare anche testimonianze come queste:
Sudanese Government Tortures the Children of Darfur

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L'Onu non disattenda i suoi impegni

Oggi si è svolta, alla Sala stampa di Montecitorio, la conferenza stampa di presentazione del dossier sul bilancio di un anno di missione UNAMID in Darfur.
Nonostante le votazioni in aula in quello stesso momento, ci hanno raggiunto gli Onorevoli Beppe Giulietti (Ivd) ed Enrico Pianetta (Pdl), che sono intervenuti insieme ad Antonella Napoli, Presidente di Italians for Darfur, a Gianfranco Dell’Alba, Segretario di Non c’è Pace senza Giustizia e a Stefano Cera, docente universitario e membro della nostra associazione. Era presente anche Enzo Nucci, corrispondente per la RAI in Africa, più volte inviato dal Darfur, che ci ha omaggiati con un suo intevento in conferenza stampa.
La conferenza ha visto una buona presenza di giornalisti, con un conseguente discreto richiamo da parte delle agenzie stampa. Si è affrontato sia il tema della carenza di infrastrutture e personale che caratterizza la missione UNAMID (un “tradimento da parte della comunità internazionale”, come titola appunto il dossier che abbiamo presentato insieme ad altre 36 ONG internazionali membri nella Globe for Darfur Coalition), sia quello della richiesta di incriminazione del Presidente sudanese Omar Al-Bashir da parte del procuratore Moreno-Ocampo della Corte Penale Internazionale (CPI). A tal proposito, dal momento che è in corso la seduta del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che questa sera dovrà votare il rinnovo per un anno di UNAMID, abbiamo oggi diffuso anche il seguente comunicato stampa:

DARFUR: GRAVE SOSPENDERE RICHIESTA INCRIMINAZIONE AL BASHIR

In queste ore, in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, discutendo il rinnovo della missione di peacekeeping UNAMID in Darfur, è stata sollevata la questione della richiesta di mandato d’arresto per genocidio e crimini contro l’umanità rivolta al Presidente sudanese Omar Al-Bashir dal procuratore della Corte Penale Internazionale, Louis Moreno-Ocampo.
Nel ribadire la ferma convinzione che l’Italia e altri Paesi siano in grado di fornire gli elicotteri necessari a garantire l’efficacia della missione, Italians for Darfur esprime preoccupazione per la posizione assunta da 7 paesi all’interno del Consiglio di Sicurezza (Sudafrica, Burkina Faso, Vietnam, Libia, Indonesia, Cina e Russia), che hanno espresso i loro timori sull'impatto che l'accusa a Bashir potrebbe avere sui tentativi di ristabilire la pace in Darfur. Ci auguriamo che questo non sia il preludio per una sospensione della richiesta della CPI, che costituirebbe un grave passo indietro sulla via che porta alla garanzia internazionale dei diritti umani.
Italians for Darfur esprime inoltre il proprio scetticismo sulla possibilità che la missione termini entro la fine del 2008, così come auspicato oggi dall’ONU, dal momento che, a un anno dall’approvazione della Risoluzione 1769, solamente 9,000 dei 31,000 peacekeepers previsti per UNAMID sono stati effettivamente dispiegati.

Radio Radicale ha registrato la conferenza stampa che potete quindi ascoltare a questo link:



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mercoledì, luglio 30, 2008

Bilancio a un anno dalla risoluzione 1671

Conferenza di presentazione del dossier sull'Unamid

Domani alle ore 11, nella sala stampa di Montecitorio, sarà presentato un dossier sul bilancio della missione Onu in Darfur (UNAMID) realizzato da Italians for Darfur e dalle ONG che hanno aderito alla Globe for Darfur coalition. Alla conferenza stampa parteciperanno gli onorevoli Beppe Giulietti ed Enrico pianeta, Gianfranco Dell’Alba (Non c’è pace senza giustizia), Stefano Cera (docente universitario esperto Gestione dei conflitti).

***
Lettera aperta al governo italiano


Un anno fa il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvava una risoluzione che disponeva l’invio di una forza di peacekeeping (UNAMID) come impegno principale di protezione da parte della comunità internazionale della popolazione del Darfur da un conflitto che ha già causato più di 300,000 vittime. Ad oggi, però, non è stato ancora fornito al contingente l’equipaggiamento necessario a tenere fede al proprio mandato e a stabilizzare la situazione nella regione sudanese, prima che si giunga a una soluzione definitiva.
Una delle necessità più urgenti è quella delle unità di trasporto e in particolar modo di 18 elicotteri di medio carico, chiesti più volte dal segretario generale dell’Onu Ban ki Moon. Senza il trasporto aereo la capacità della forza di rispondere velocemente agli eventi e di proteggere i civili in un’area grande quanto la Francia, è compromessa.
L’8 luglio scorso l’importanza di questi mezzi per il successo e la sicurezza stessa della missione è stata tragicamente posta in evidenza da un attacco a un convoglio di caschi blu nel nord del Darfur, che ha provocato 7 vittime e 22 feriti tra i soldati. Senza elicotteri, UNAMID è stata impossibilitata a fornire soccorso al convoglio attaccato.
È quindi urgente che le nazioni che dispongono di elicotteri si facciano avanti per inviare queste risorse necessarie. Il rapporto presentato a livello internazionale il 31 luglio, realizzato da un gruppo di esperti di aviazione e confermato da numerose organizzazioni per i diritti umani in tutto il mondo (tra le quali Italians for Darfur), segnala la disponibilità di elicotteri di molti paesi: per esempio i soli stati membri della NATO potrebbero fornire almeno 140 elicotteri adatti alla forza UNAMID.
E’ per questo che le Ong internazionali chiedono con forza agli stati che hanno la possibilità di fornire questi mezzi di farlo immediatamente e ai loro alleati di supportarli in ogni modo per assicurarsi che questi aiuti siano forniti senza ulteriori ritardi.
Secondo tali stime, l’Italia potrebbe inviare almeno 3 elicotteri, un contributo minimo ma significativo per permettere ai peacekeepers di proteggere effettivamente i civili e sé stessi. Ovviamente i soli velivoli non possono assicurare protezione a tutta la popolazione del Darfur. L’UNAMID ha anche bisogno di altro equipaggiamento, compresi camion da trasporto, aerei da ricognizione, ingegneri e unità logistiche multiruolo.
Per l’effettiva capacità difensiva della missione è necessario rendere efficiente l’equipaggiamento da Port Sudan e Khartoum al Darfur altrimenti, anche con il contributo degli elicotteri, si potrà fare poco per aiutare i profughi e la gente che vive ancora nei villaggi.
Va sottolineato che, pur se completamente equipaggiata, l’UNAMID da sola non può fornire tutta la protezione necessaria o portare il conflitto al suo termine. Un cessate il fuoco e un vero processo di pace sono essenziali per arrivare a una fine duratura dei combattimenti. In ogni caso la missione Onu sarà cruciale per stabilizzare la situazione della sicurezza e quindi aiutare a creare le condizioni necessarie per facilitare il riavvio del dialogo tra le parti in conflitto. Gli elicotteri devono essere inviati ora per fare in modo che la missione sia veramente operativa e per mandare un chiaro segnale che tutti, ong e istituzioni, sono impegnati per l’UNAMID e per il popolo del Darfur.
L’augurio è che anche il nostro Paese, il governo italiano, faccia i passi necessari affinché ciò avvenga prima che ci siano altre vittime. Prima che sia tropo tardi.
31 luglio 2008

Antonella Napoli, Presidente Italians for Darfur

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lunedì, luglio 28, 2008

Chi si cela dietro la Humanitarian Aid Commission (HAC)

2.6 Tutti gli Uomini di HAC

Di Giorgio Trombatore


Avete mai sentito parlare del Dott. Sulaf Addin Saleh?
Avete mai sentito pronunciare questo nome ?

Se siete dei buoni conoscitori del Sudan allora un personaggio del genere non puo’ esservi sfuggito al pari di altre personalità tipo Dr.Khalil, Dr. Bahar Idris, Minnie Mennawie o Musa Hilal.

Ma il nome di Sulaf Addin non è legato ai gruppi di guerriglia che sono sorti come funghi in Sudan ne tantomeno a quello di famosi Janjaweed che con le loro gesta sono diventati vere star di Holywood ! .

Sulaf Addin Saleh fa parte di quel mondo poco conosciuto dei burocrati sudanesi che si è sempre distinto operando dietro le scene .
Non un uomo quindi da presentare e dare in omaggio alle emittenti locali arabe.
Sulaf Addin Saleh si presentava come un distinto diplomatico sudanese sempre in viaggio in Europa, tra cui Londra risulta una delle sue mete preferite.
Perchè si sa mentre il popolo muore di fame nei campi profughi , gli uomini di potere non si fanno mancare viaggi e svaghi nella dannata Europa.
Conteso tra la comunità diplomatica in Sudan, il noto Sulaf Addin era il personaggio chiave del ministero di Hac, una sorta di ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari che celava dietro questo suo prestigioso nome il cuore dei servizi di sicurezza sudanesi.

Certo oggi la situazione è cambiata del tutto in Sudan a causa anche della regionalizzazione dei conflitti che hanno fatto piombare il paese in un vero e proprio stato perenne di guerra civile.
Le cose sono molto ben diverse da quando Sulaf Addin gestiva incontrastato l’ufficio di Hac.Oggi gli uomini della sicurezza sudanese hanno molti grattacapi da pelare ; basti pensare alla presenza dei soldati dell’African Union , o ai conflitti che dal 2005 in poi sono scoppiati nel paese. Un quadro difficile da gestire anche per uomini abituati ad avere sotto controllo l’intera comunità straniera e non solo.
Le guerre civili che sono scoppiate nel paese negli ultimi anni hanno reso talvolta insufficiente la rete di controlli e di ispezioni creata ingegnosamente dagli uomini di Hac.

Basta ricordare che mentre scriviamo questo blog oggi la situazione in Sudan è la più grave degli ultimi tempi.
Ovunque si punti il dito nella mappa sudanese non troviamo una sola area pacificata.
Se poniamo lo sguardo ad est verso la regione di Kassala l’irrisolto conflitto con i Beja è ancora una spina nel fianco per il governo di Al Bashir .
Il centro del del paese, l’area storicamente in mano ai Nuba, rimane ad altissima tenzione.
A sud , nonostante il trattato di pace firmato tra il governo del nord e quello dell’attuale Silva Ker, la situazione nelle aree popolate dai gruppi Nuere e Dinka è tutt’altro che pacificata.
Infine c’è l’ovest con il dramma del Darfur e la recente escalation di guerra con il vicino Chad.
Dulcis in fundo citerei il recente attacco del Jem a Khartoum ( che io ho avuto modo di trattare proprio sul blog di Italians for Darfur ) e la condanna da parte del tribunale dell’Aia nei confronti di Omar Al Bashir.

Ma torniamo al nostro Uomo chiave degno di essere ricordato anche in questo Blog perchè lui sino al 2005 era l’uomo che gestiva il complesso edificio di HAC.

Chiariamo subito che c’è un HAC conosciuto dalla stragrande maggioranza delle persone ed è l’Hac pubblico ossia quello degli incontri delle ONG e delle Nazioni Unite con il Commissioner di turno per parlare di emergenze umanitarie.
Questo tipo di incontri avviene in tutte le regioni sotto il controllo dell’ufficio di Ocha delle Nazioni Unite. Hac, solitamente partecipa per via del suo Commissioner, e gioca il ruolo della parte lesa degli interessi dei comuni cittadini sudanesi.
Ovviamente è solo una operazione di facciata del governo sudanese, in quanto la vera anima di HAC è rappresentata dai suoi uffici di « intelligence « che operano in tutto il paese.

Una struttura di tutto rispetto che segue , identifica e cataloga la situazione di ogni singolo espatriato presente nel paese tenendolo constantemente sotto controllo attraverso delle pratiche all’apparenza innocue che servono a limitare le libertà degli operatori umanitari e dei diplomatici presenti nel paese.
Questo controllo è talmente ramificato anche nelle regioni da garantire una copertura totale persino nel più piccolo e sperduto villaggio sudanese.

Questo è il vero volto di HAC. Uomini dislocati negli aeroporti, lungo le strade, nei mercati, negli incontri delle ong e pêrsino nei campi profughi.
Il loro compito è quello di controllare , di limitare le libertà di movimento degli operatori umanitari attraverso un controllo stretto e rigido che comporta una serie di azioni burocratiche che spesso spingono le organizzazioni a rinunciare persino a visitare certe località.
Travel permit, autorizzazioni varie, timbri, foto, ecc… tutti mezzi ingegnosi per scoraggiare anche i più impavidi operatori umanitari.
Solitamente gli uffici di Hac nelle regioni interne sono delle catapecchie posizionate ai margini delle città. In questi luoghi gli operatori di save the children, di Concern, di Care fanno la fila per ricevere l’agognato timbro che autorizza il veicolo a raggiungere una determinata località.
Talvolta il timbro viene negato ed allora la ong deve chiedere udienza al Commissioner alfine di sbloccare la situazione ed autorizzare i veicoli a raggiungere i luoghi di destinazione previsti dai progetti.
Un gioco di nervi che alla lunga spezza la pazienza degli stranieri che commettano qualche errore o si lasciano andare a commenti duri e sferzanti.
Cosi’ facendo si entra nell’ottica degli uomini di Hac che con la loro calma ed il loro apparente disinteresse mirano proprio a sfiaccare le ong operanti in Darfur.
Ultimamente con con l’acutizzarsi del conflitto in Darfur si è posto un maggiore controllo per quelle aree e quegli spostamenti verso le zone del Jebel Marra o del West Darfur che sono sotto il controllo dei guerriglieri. Io credo che i tempi d’oro di Hac risalgono ai primi anni del 2000, quando il Dr.Sulaf Addin Saleh era il Commissioner di Khartoum.A quei tempi l’edificio di Hac sorgeva ed operava in quella zona di Khartoum dove nel 2005 è stato costruito dai turchi il primo grande Mall della capitale sudanese nei pressi del quartiere di Hamarat.
Proprio cosi’ gli uomini della sicurezza sudanese avevano la loro sede non molto distante da quella famosa strada 57 di Hamarat, nota a tutti come il centro di smistamento per i clandestini e gli irregolari che in questa via iniziavano il loro lungo viaggio verso l’Europa.
Per lo più si trattava di eritrei, etiopi, sudanesi alla volta dell’Europa .
La struttura di Hac, termine generico che indica Humanitarian Aid Commission, era talmente ben strutturata che ogni singolo movimento di un espatriato in terra sudanese veniva seguito nei minimi termini.
Gli uomini di Sulaf Addin del resto erano noti per la loro severità ma nello stesso tempo per la loro conoscenza del territorio.
In cima alla piramide di Hac vi era appunto Sulaf Addin ma tra i suoi bravi vanno ricordati il famoso « Tijani » che all’inizio operava nella capitale sudanese ma poi all’indomani dei problemi con il Presidente Idris del Chad, penso’ bene di metterlo a capo di HAC nel West Darfur, a Genena.
Tijani è divenuto in poco tempo celebre a Genena per avere più volte sequestrato giornalisti che a suo dire non avevano le opportune autorizzazioni per filmare i campi profughi.Con i suoi uomini è stato ed è l’angoscia per gli operatori umanitari di Genena che almeno una volta durante la loro missione hanno avuto la sfortuna di essere convocati presso l’ufficio di Tijani a Genena per rispondere di varie accuse formulate dagli uomini dei servizi segreti.
In Sud Darfur vi era un altro uomo di Hac ,il Commissioner Mr Jamal, che aveva tutta una altra strategia di approccio con le ong e le agenzie delle Nazioni Unite.
Jamal è un Fur sui quaranta anni.Questo uomo ha visto crescere in poco tempo la sua influenza ed importanza a Nyala grazie al dislocamento delle forze dell’African Union presso la zona dell’aeroporto ed al crescere del numero esponenziale delle ONG straniere che hanno aperto una sede nel Sud Darfur.
In poco tempo Jamal era dietro agli affitti delle case, alle assunzioni del personale locale, agli affitti esorbitanti dei veicoli.
Meno irruente di Tijani giocava a sfruttare il ruolo di potere per acquisire costantemente favori dalle Nazioni Unite dalle Ong.
Nessuno è uscito indenne dalle mire di Jamal, persino la cooperazione italiana ha fatto il suo !!!.
Ricordo i viaggi dei famigliari di Jamal sugli antonov delle Nazioni Unite o il suo celebre viaggio a Kharthoum per incontrare l’ambasciatore Enzo Angeoloni e poco dopo con l’aiuto della cooperazione Italiana fu operato in una clinica privata di Khartoum .
Jamal si fece operare ad una mano che in passato era stata colpita da una pallottola.
Insomma una maniera subdola pêr estorcere favori alle ong che cosi’ facendo vedevano allentati i controlli nei loro programmi.
In effetti Hac agisce in modo viscido perchè da un lato ti limita e ti controlla i movimenti dall’altro utilizza questa sua conoscenza per importi il suo prezzo.

Ma vediamo come agivano gli uomini di Sulaf Addin :
Documenti :
Sebbene il rinnovo del visto è materia che viene trattata dagli esteri, l’espatriato presente in Sudan deve per prima cosa fare una domanda presso Hac che cosi’ inizia a seguire la pratica del cooperante.Un formulario , con una fotografia deve essere presentata agli uffici di Hac che cosi’ facendo iniziano ad indagare sulla persona richiedente.
Nelle regioni agli operatori umanitari viene richiesto di fare un ID che ovviamente si compila presso gli uffici di Hac presenti nelle città del Darfur.
Macchine
Già poco prima della mia definitiva partenza dal Darfur ,gli Uomini di Hac mandarono una circolare presso le organizzazioni non governative per avere copia dei contratti di affitto delle macchine .
Inoltre ogni veicolo prima di ogni missione sul campo doveva fare pervenire presso gli uffici di Hac, almeno 48 ore prima, una richiesta scritta dove venivano indicate le aree da visitare ed i componenti della missione .
Cosi’ facendo gli uomini dei servizi avevano una chiara situazione dei movimenti degli occidentali presenti nel territorio.
Lo stesso è avvenuto anche con i contratti delle assunzioni, degli affitti delle case e cosi’ via.
Persino per uscire dal paese era previsto un visto di Uscita, qualcosa di incredibile che ha un eguale solo in Eritrea , un altro paese ossessionato dai controlli.
Infine questi controlli erano poi eseguiti dalle miriadi di posti di blocco presenti all’ingresso di ogni città dove gli uomini della sicurezza verificavano che i travel permit ed i documenti fossero in regola.
Persino negli aeroporti notai che dopo il controllo dei passaporti con la polizia locale vi era un successivo controllo prima dell’imbarco sui Mi8(elicotteri in dotazione all’Onu).Questo controllo finale era effettuato dagli uomini di Hac per verificare se l’operatore umanitario avesse in effetti notificato con 48 ore di anticipo la sua pârtenza.
Tutto cio’ non faceva altro che rendere continuamente gli operatori umanitari in uno stato d’agitazione dovuto alla miriade di controlli e richieste di autorizzazioni varie.
Tutto questo è HAC, un servizio degno dei militari Nord Coreani o della veccchia Stasi.
Credo certo che in parte è un simbolo della decadenza del governo di Omar Al Bashir che si affida a questi mezzi di controllo militari per tentare di celare i continui crimini che avvengono nel suo sconfinato paese.

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venerdì, luglio 25, 2008

Italians for Darfur ad EcoRadio

Domenica 27 luglio, dalle 18 alle 20, su EcoRadio andrà in onda la trasmissione "L'Arca dei diritti e della solidarietà", in cui, nella prima ora, insieme al conduttore e curatore della trasmissione Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International), parleremo della situazione in Darfur alla luce delle accuse a Bashir da parte della Corte Penale Internazionale. Dopo qualche giorno dalla messa in onda, sarà possibile scaricare la trasmissione collegandosi al sito:
Buon ascolto!
FM: Roma 88,3 - Napoli e Caserta 92,1 - Calabria 104,9 - Catania 89,8. In mainstreaming su www.ecoradio.it.

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mercoledì, luglio 23, 2008

Ai media arabi non piacciono gli "Arabi cattivi": silenzio sul Darfur

C'è un paradossale disinteresse del mondo arabo al conflitto in Darfur: il 40 per cento della popolazione sudanese è Araba, così come Arabi sono parte delle popolazioni interessate dal conflitto.
Nonostante il numero di civili coinvolti sia simile a quello stimato in Iraq, secondo Lawrence Pintak, giornalista esperto di media arabi, il conflitto in Darfur non ha la copertura mediatica che ci si aspetterebbe perchè in Darfur viene definitivamente rotto lo schema degli Arabi vittime degli altri. In Darfur, gli "altri" sono gli Arabi. L'attacco più importante al silenzio dei media arabi è arrivato tre anni fa da Nabil Kassem, di Al Arabiya, produttore del censurato documentario "jihad on horseback".
Sono soprattutto le notizie e le testionianze, anche fotografiche, dai campi profughi del Darfur a non trovare spazio nei media arabi contrariamente a quanto accade nei Paesi occidentali, che pure faticano a fare vera informazione sul conflitto in corso, limitandosi spesso a riportare eventi e testimonianze delle star del cinema e dello spettacolo abilmente coinvolte quali testimonials della campagna per i diritti umani delle associazioni e ong internazionali, che vedono in essi l'unica via di accesso ai mezzi di informazione di massa.
Le analisi politiche, in particolare le reazioni diplomatiche delle Nazioni Unite e delle maggiori potenze mondiali, superano inoltre le notizie propriamente dette, rivelando in questo anche una diffusa riluttanza a recarsi fisicamente nella regione per appurare di persona quanto stia accadendo in Darfur, sebbene sia innegabile una obiettiva difficoltà a superare le restrittive norme di accesso per i giornalisti nel Paese. In Egitto si registra la più ampia copertura stampa sul conflitto, per motivi connessi alla vicinanza geografica del Sudan e alla sua influenza strategica nel Sahel. Per ulteriori analisi dei media arabi si possono consultare le pagine del MEMRI (Middle East Media Research Institute), organizzazione indipendente e nonprofit.


Guarda il video di Al Jazeera English: "The media on Darfur";

Approfondisci: "Darfur: covering the 'forgotten' story".

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lunedì, luglio 21, 2008

Manifestazione e contromanifestazione a Roma per la giustizia in Darfur

Spesso non ricordiamo quanto oro abbiamo in tasca fino a quando non ce lo rubano. E' quanto ho pensato, mentre scorrevano le immagini rubate alla giornata del 20 luglio scorso, a Piazza della Repubblica a Roma. Due diversi schieramenti sudanesi a confronto, senza spargimenti di sangue come sarebbe avvenuto in Darfur: l'uno, a favore del Presidente sudanese, l'altro per la giustizia che affranca. Figli gli uni della ricca Karthoum, schiavi gli altri del deserto del Darfur. La democrazia è anche questo.

Video di Giulia: Sudan - Darfur: "manifestandoci contro"




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Cassese: La condanna di Bashir, un “coup de theatre” con "scarsi effetti pratici positivi”.

La notizia della richiesta del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, di arresto del Presidente del Sudan Bashir viene accolta con perplessità da Antonio Cassese, che nel 2005 ha presieduto la “Commissione internazionale incaricata di investigare le violazioni dei diritti umani e l’accertamento dell’eventuale genocidio” (ICID).
In un articolo apparso su “La Repubblica” del 15 luglio scorso, Cassese sottolinea che l’iniziativa di Ocampo serve soprattutto a “scuotere l’attenzione del pubblico”, ma serve a poco in termini pratici ed anzi potrebbe rivelarsi un boomerang, esprimendo il timore che possa addirittura vanificare il lavoro del Tribunale.
In particolare, tre sarebbero gli aspetti critici.
- Se davvero avesse voluto far arrestare Bashir, il Procuratore avrebbe dovuto sottoporre ai giudici una richiesta segreta e chiedere di non rendere pubblico il mandato di cattura (nel caso venga emesso dai giudici). In questo modo, si sarebbe potuto aspettare che il Presidente si fosse recato all’estero per rendere pubblico il mandato e dare il via al suo arresto. Invece, rendere pubblica la richiesta di arresto prima ancora di sottoporla al vaglio dei giudici (che potranno successivamente respingerla o ridimensionarla), di fatto, renderà vana la richiesta di arresto: Bashir dovrebbe ordinare ai suoi di arrestarlo e consegnarlo al Tribunale.
- Inoltre risulta incomprensibile la scelta di accusare solo Bashir e non anche gli altri membri del gruppo dirigente, alcuni dei quali (il vice-presidente Taha, il capo dei servizi segreti, il ministro della difesa, i capi di stato maggiore delle forze armate) sono certamente implicati nelle decisioni politiche e militari che riguardano il Darfur.
- Infine, non si comprende perché si sia voluto accusare Bashir di genocidio (che richiede condizioni meno rigorose e fa correre minori rischi di mancato accoglimento da parte dei giudici), quando lo si sarebbe potuto accusare, con maggiore fondatezza e con maggiori possibilità di accoglimento, di crimini contro l’umanità quali lo sterminio, il massacro di civili e il trasferimento forzato di persone.
In breve, secondo Cassese, è difficile che il mandato di arresto possa produrre effetti extra-giudiziali positivi, come la delegittimazione politica, diplomatica e morale di Bashir, che, da parte sua, non faticherà a controbattere alle accuse. Inoltre, si potranno avere gravi ripercussioni anche nelle relazioni tra governo del Sudan e forze di peacekeeping nella regione, con possibili ostacoli all’assistenza umanitaria internazionale ai profughi del Darfur.
Stefano Cera, per IB4D.

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Panorama intervista Bashir: Caschi blu dell'ONU? "siamo ancora qui ad aspettarli"

Trascrivo da Panorama n° 28, da pagina 84 a 86, alcuni passaggi dell'intervista concessa dal Presidente sudanese Bashir a Stella Pende, una cronista di Panorama.
"[...]Tre giorni di attesa, poi all'improvviso il via libera del palazzo. Quando la cronista arriva nella stanza dei troni dorati il presidente sudanese, baffi, turbante bianco e scarpe in pura pelle di tigre, risponde a tutte le domande. Anche quelle che toccano i temi più bollenti: l'avventura del petrolio africano e il dramma sudanese del Darfur.
[...]Il Fondo monetario prevede una crescita del PIL pari al 13 per cento.Merito del petrolio che vendete alla Cina?
Vero. Il petrolio è il motore e l'anima della nostra economia. Muove in Sudan un giro di affari di 6 miliardi di dollari l'anno.[...]
[...]Karthoum sarà come Dubai?
Si tratta dell'area di ristrutturazione edilizia più grande dell'Africa: 750 ettari di terreno.Per 4 miliardi di dollari. MA Karthoum sarà sempre diversa da Dubai. Le nostre tradizioni, il rispetto della religione, non possono entrare nell'identità di nessun altro Paese.
Parla della sharia, che, come scrivono molti giornali americani, lei ha imposto in tutto il Sudan?
[...]forse si tratta solo di una piccola parte della campagna perfettamente orchestrata dai sionisti e dai loro amabili fan?
[...] negli anni ottanta sono stato addestrato nei campi della Florida per mandato di Milton Beardenche della CIa, che era un vero imperatore. Ho anche visitato le basi USA a Doha, grandi fucine di combattenti arabi.
Presidente, l'intera stampa internazionale racconta da anni che i janjaweed, gli arabi a cavallo devastatori di interi villaggi nel Darfur, sono stati finanziati e armati da lei.
La Storia del Darfur [...] è più complicata e nello stesso tempo più semplice di quello che si racconta.[...[ i nomadi arabi da sempre alla ricerca di terreni buoni per il bestiame, cacciano i contadini africani dai loro villaggi. ma se quelli resistono, seminano morti e feriti. Un'eredità che non è stato facile gestire.
[...]
Il Jem, Justice and equality movement, ha attaccato Karthoum poche settimane fa. come è possibile che in un paese così blindato sia accaduto un episodio del genere?
[...]Sapevamo del loro arrivo. Ma li abbiamo fatti arrivare vicino per braccarli e circondarli. Per risolvere il problema sono bastate due ore.
[...]E' ormai un anno che è stato firmato l'accordo che prevedeva il dispiegamento di una task force internazionale di 27 mila uomini. Dove li ha nascosti, presidente?
Lo chieda alle Nazioni Unite. Noi eravamo incerti. Migliaia di stranieri che pretendono di invadere la terra e intromettersi in conflitti che non possono capire, mi creda. Comunque, alla fine li abbiamo accettati. Ma le Nazioni unite ne hanno mandati solo 9mila. Gli altri siamo ancora qui ad aspettarli. Dal Darfur, in ogni caso, c'è molta altra gente che dovrebbe andarsene.
Allude alle ong? ma se sono loro che aiutano quei disperati a sopravvivere.
Gino Strada e il suo ospedale * dimostrano che oggi le persone serie hanno la nostra completa disponibilità. In Sudan ci sono 258 ong. Ha presente che giro d'affari muovono le tante ong del mondo?"

* centro di cardiochirurgia a Khartoum. Gino Strada ha rilasciato pochi giorni fa dichiarazioni in difesa del Presidente sudanese, asserendo che il conflitto in Darfur è uno scontro di natura tribale.
Tutte le attività delle ONG sono autorizzate e controllate dall'organo governativo per gli aiuti umanitari, l'HAC (Humanitarian Aid Commission) che funge da vero e proprio intermediario tra le ONG e i destinatari degli aiuti e/o servizi [n.d.r.].

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domenica, luglio 20, 2008

The Harry Potter Alliance lancia una petizione per il Darfur

scritto da GiratempoWeb (IB4D):

Ancora una volta, The Harry Potter Alliance convoca il suo Esercito di Silente della vita reale per prendere posizione contro i genocidi che si compiono in Darfur, questa volta con una tattica diversa: cambiare canale durante gli spot pubblicitari dei giochi olimpici di Pechino 2008. Lo slogan che li accompagna è "Un mondo. Un sogno."

The Harry Potter AllianceLa Cina, anfiteatro dei giochi olimpici di questo anno, è anche il paese che finanza il Sudan per l'acquisto di armi belliche, che finiranno con l'assasinio di migliaia di cittadini innocenti in Darfur. Nonostante le innumerevoli proteste amplificate in tutto il mondo, il governo cinese continua a mostrarsi indifferente a riguardo, mantenendo viva la contraddizione con lo spirito dei giochi olimpici, che sempre hanno unito il mondo. L'Alleanza Harry Potter si chiede se il governo cinese possa mai rendersi conto della situazione e prendere dei provvedimenti, dei compromessi, e incominciare a parlare seriamente a riguardo. O rimarrà sempre in silenzio?

GiratempoWeb, già membro dell'iniziativa Italian Blogs for Darfur, appoggia anche l'iniziativa dell'associazione The Harry Potter Alliance. Aiutaci anche tu, firmando la petizione avviata da The Harry Potter Alliance e Italian Blogs for Darfur.

La situazione è seria. Non rimanere indifferente."

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mercoledì, luglio 16, 2008

Lega Araba e Cina condannano la decisione di Ocampo. Manifestazione nella capitale sudanese contro il mandato di arresto per Bashir.

La giustizia in Darfur deve essere motivo di speranza per un futuro di pace nella regione. Il caso di Slobodan Milosevic in Yugoslavia dimostra come Bashir non possa sfuggire per sempre alla Corte Penale Internazionale. Per ora, tuttavia, gli effetti della richiesta del Procuratore Capo Luis Moreno Ocampo di accusare formalmente il Presidente sudanese per genocidio ha stretto la cerchia degli "amici" intorno a Bashir.
A parte quelle di Hassan Al Turabi, storico oppositore del presidente e islamista molto vicino ad Al-Qaeda, si sono susseguite numerose dichiarazioni di condanna per l'azione avviata dal Tribunale Internazionale: la Lega Araba, con le parole del segretario generale Amr Moussa, descrive la situazione "molto grave e molto pericolosa"; la Cina, primo partner economico e militare del Sudan, esprime grave preoccupazione per la decisione presa in sede internazionale; migliaia di sostenitori più o meno sinceri del presidente sudanese sfilano a Khartoum lanciando proclami contro le Nazioni Unite. Gli Stati Uniti invitano alla calma. Le Nazioni Unite ritirano il personale non essenziale dalle aree di competenza dell' Unamid. Le Ong richiamano il personale dalle aree rurali alle città principali. Si temono nuove e pesanti rappresaglie contro le forze di interposizione ONU-UA, già duramente colpite nei giorni passati, impunemente: l'episodio riporta alla memoria l'atroce storia dell'eccidio di Srebrenica, in Bosnia. Ce ne parla il The Guardian in un editoriale tagliente, Deja-vu in Darfur, che conclude: "the Janjaweed's horses are almost high tech compared with UNAMID's equipment." Ora, più che mai, servono elicotteri.
In contemporanea alle manifestazioni di sostegno alla decisione della Corte Penale Internazionali, tenutesi a Londra, Bruxelles e Parigi, anche a Roma, Italians for Darfur e la comunità darfuriana in Italia hanno dato luogo, lunedì 14 luglio, a un presidio davanti all'ambasciata sudanese: "Chiediamo all’Unione Europea - ha detto Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur - di continuare a dare un sostegno forte al lavoro di Ocampo".
"La nostra gente in Darfur - continua Mohamed Abkar, portavoce della comunita’ darfuriana in Italia - ha sofferto cinque anni di violenza e nessuno e’ stato ancora condannato per i terribili crimini commessi. Noi guardiamo alla Corte penale internazionale ed alla comunita’ tutta per avere giustizia. L’annuncio del procuratore Ocampo ci da’ speranza che le vittime innocenti del conflitto in Darfur non siano state dimenticate e che un giorno ci sara’ giustizia per loro e dignita’ per i superstiti (AGI)”.

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lunedì, luglio 14, 2008

Genocidio Darfur, la Corte penale internazionale chiede l'arresto del presidente del Sudan

BRUXELLES (14 luglio) - Accusa di genocidio e crimini di guerra per il presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir contro il quale il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, ha chiesto il mandato d'arresto alla Camera della Corte. Secondo le prove raccolte dal Cip Omar Hassan Al Bashir «ha diretto e applicato un piano per distruggere in modo sostanziale i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa, sulla base della loro etnia». «Per cinque anni - è l'accusa lanciata dall'alto magistrato - le forze armate e la milizia Janjaweed, sotto gli ordini di Al Bashir, hanno attaccato e distrutto villaggi. Poi attaccavano i sopravvissuti nel deserto. Quelli che raggiungevano i campi erano soggetti a condizioni messe in atto in modo calcolato allo scopo di distruggerli». Secondo Moreno-Ocampo «i suoi motivi erano largamente politici, il suo alibi è stata l'insurrezione, il suo intento è stato il genocidio». Le «forze e gli agenti» che agivano sotto il controllo di Al Bashir hanno ucciso almeno 35 mila civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80.000 e 265.000 che sono state sradicate dalle loro case.Il Sudan non riconosce nessuna decisione, alcun decreto emesso dalla Corte Penale Internazionale. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero degli esteri, Ali Al Sadig: «Per noi - ha detto - non esiste qualsiasi cosa venga dalla Cpi», ha affermato Ali Al Sadig. Riaffermando la volontà del Sudan di continuare il processo di pace nel Darfur e di proteggere tutto il personale dell'Onu presente nel paese, il portavoce sudanese ha aggiunto: «consideriamo l'incriminazione tanto del presidente che di qualsiasi altro cittadino sudanese allo stesso modo: non riconosciamo qualsiasi cosa venga dalla Cpi. Per noi non esiste».
" il Messaggero.it" postato da Giulia Fresca per IB4D


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domenica, luglio 13, 2008

OGGI PRESIDIO A ROMA per sostegno decisione CPI

La comunità darfuriana in Italia ha organizzato un presidio di fronte all'Ambasciata Sudanese (via Prati della Farnesina 57, 00194 Roma) per oggi, lunedì 14 luglio, alle ore 15:00 - in concomitanza con le altre manifestazioni che si terranno a Londra, Bruxelles e Parigi - per sostenere l'iniziativa penale della CPI affinché venga fatta giustizia per le vittime del Darfur.


Il Washington Post ha anticipato la settimana scorsa che lunedì 14 luglio, Luis Moreno-Ocampo, il Procuratore generale della Corte Penale Internazionale dell'Aia, presenterà alla Corte le conclusioni di mesi di indagini sui crimini di guerra e contro l'umanità commessi in Darfur, chiedendo l'incriminazione di più sospettati, tra cui svariati esponenti del governo di Khartoum e in cima alla lista il Presidente sudanese Omar Al-Bashir.
Prima d'oggi, nell'aprile 2007, Moreno-Ocampo aveva anche ottenuto due mandati d'arresto per crimini di guerra e contro l'umanità nei confronti dell'ex ministro dell'Interno Ahmed Harun, oggi ministro degli Affari umanitari, e il leader dei janjaweed Ali Kosheib, entrambi ancora in libertà a causa del rifiuto del governo sudanese di consegnarli alle autorità competenti.
Secondo le stime dell'Onu, dal febbraio 2003 il conflitto in Darfur ha provocato più di 250,000 vittime e oltre 2 milioni di sfollati.
La comunità darfuriana in Italia ha organizzato un presidio di fronte all'Ambasciata Sudanese (via Prati della Farnesina 57, 00194 Roma) per oggi, lunedì 14 luglio, alle ore 15:00 - in concomitanza con le altre manifestazioni che si terranno a Londra, Bruxelles e Parigi - per sostenere l'iniziativa penale della CPI affinché venga fatta giustizia per le vittime del Darfur. Chiederemo inoltre all'Italia di fare sentire la propria voce a livello europeo e nel consesso internazionale affinché il Darfur non venga lasciato solo in questa delicata fase, dal momento che il rinvio a giudizio di Bashir potrebbe causare ulteriori sommosse all'interno del Paese e inasprire i contrasti tra esercito e milizie filo-governative da un lato e i gruppi ribelli del Darfur dall'altro. Ci rivolgeremo all'Italia, in quanto membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, perché eserciti pressioni affinché venga al più presto schierata la forza ibrida di peacekeeping Onu-Unione Africana (UNAMID) secondo quanto stabilito dalla Risoluzione 1769/2007, che fissava il termine massimo di dispiegamento delle truppe per dicembre 2007 e che non è stato rispettato.

Per info e adesioni: 346-0725239
Sharon Nizza
Italians for Darfur

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sabato, luglio 12, 2008

"La situazione è molto tesa, ma calma": Daniel, da Nyala

Riceviamo ancora una volta da Fiorenzo l'ultimo messaggio di "Daniel", che da anni porta avanti un progetto per le donne nel campo di Nyala, in Darfur. "Daniel" è tornato a casa ad Aprile, per riprendere le forze e per recuperare un po' di salute, ma è ripartito tre mesi dopo per tornare a Nyala.
Di seguito la sua breve testimonianza:

"Carissimo Fiorenzo e gruppo:
...Finalmente dopo quasi un mese dalla partenza sono arrivato a casa sano e salvo dopo la pericolosita che si aveva dell aereo. In questi giorni infatti ne cade quasi uno al giorno e la gente incomincia ad avere paura. Forse per me è stato una grazia cosi ho potuto riposarmi per bene prima di iniziare il grande lavoro che in questi giorni incominceremo con la semina. Un grazie infinite per la cooperazione in questo proggetto, è due giorni che vado e ogni giorno aumentano di numero ho potuto aumentare altra terra cosi si aiutano più donne che aspettavano con ansia il mio ritorno
...Qui la situazione è molto tesa, ma calma si spera che continui cosi in modo da lavorare in pace. La novita che ho trovato è che la gente ha incominciato a ritornare nei loro villaggi lasciando il campo ...ormai noi siamo non più isolati ma in mezzo alla gente. Non hanno più paura di muoversi cosi pure le auto incominciano a portare le proviste per i villaggi senza essere fermati la gente comune si sposta come vuole.......
vostro Daniel
NYALA 6/7/08 "

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Un acquedotto senza acqua: i fallimenti di Kass e Gemeza Komera

2.5 L’ Acqua che non c’è
(Autore del presente testo è Giorgio Trombatore. Italians for Darfur e IB4D non sono responsabili di quanto espresso dall'autore.)

di Giorgio Trombatore

Nessun progetto della Cooperazione Italiana in Darfur ha avuto un esito negativo come quello dell’acquedotto di Kass e del progetto di Gemeza Komera.
Nemmeno il famoso ospedale di “Avamposto 55” nato con i proventi del festival di Sanremo puo’ essere minimamente accostato e paragonato per cio’ che è avvenuto con Gemeza Komera e Kass. Per capire il fenomeno tutto negativo di “Kass e Gemeza Komera” bisogna fare un passo indietro; ossia bisogna capire meglio il contesto storico.

Vi avverto che questo articolo vuole essere una fedele ricostruzione dei fatti, e nulla di più. Infatti non intendo dare toni scandalistici alla maniera della Panozzo o di Stefano Liberti, o meglio ancora del caro ed illustre conoscitore del darfur il “Signor Beretta Giorgio” che a colpi di “scandali “ è riuscito a smuovere persino il parlamento italiano.

Questo è un blog di gente che ha a cuore il Darfur, e dunque io mi rivolgo a voi cercando di ricostruire l’esperienza del governo italiano in Darfur facendo luce sia sugli aspetti positivi , che vanno difesi, sia su quelli negativi che vanno certamente condannati e possibilmente mai ripetuti!.
Questi sono fatti realmente accaduti e raccontati in prima persona da chi ha svolto un ruolo di responsabilità in Darfur e che ha lavorato per oltre tre anni nella regione senza mai lasciare il posto di lavoro.

Parliamo di Fatti dunque .....

Vediamo innanzitutto cosa era Kass quando la Cooperazione Italiana ha pensato bene di attivare uno dei suoi principali lavori nel 2005.
Kass era una cittadina con circa 40.000 persone.Il Direttore del Ministero dell’Educazione un certo Mohammad Nusa Al Hamid era un po’ l’uomo chiave di Kass a cui tutte le ONG internazionali presenti sul territorio facevano riferimento.
Con una etnia mista di tribù tra le quali Fur, Zahawa, Nafaj e Tarjam, Kass dopo Nyala era uno dei centri più importanti del Sud darfur .
In questa zona del paese nel corso del 2004 e 2005 ci fu una vera e propria emergenza di sfollati.
Il numero degli sfollati che provenivano da ogni parte del Jebel Marra raggiunse quota 35.000 unità in pochi mesi.
Questi sfollati con una mossa alquanto imprevedibile decisero di accamparsi all’interno delle scuole e degli edifici scolastici presenti nella città.
Non un accampamento simile a quello di Calma (vicino Nyala) o a quello di Garsila (west Darfur) o di El fasher, ma un accampamento dentro la città.

Un operazione unica nel suo genere.

In questo modo gli sfollati riuscirono non solo a sfuggire ai massacri ma anche a porre una forte pressione sul governo locale che con la riapertura delle scuole doveva affrontare il problema dei rifugiati in modo definitivo.
Il governo tento’ di muovere quella umanità verso un campo allestito a qualche chilometro da kass, ma ogni tentativo di spostare gli sfollati falliva miseramente. La paura di nuovi attacchi, ed il timore di non essere considerati spingeva quegli uomini a barricarsi nelle scuole ad ogni costo.
Date un occhiata voi stessi a questo documento che io preparai nel lontano 2005 dove in un rapporto menzionavo le presenze dei rifugiati nelle scuole di Kass;

Name of the IDPs camps Population

South Primary School 4500
Alhomira Primary School 3500
Alibitory camps 10000
Yohia Hagar School 1200
Secondary School for Girls 1231
North Primary School 7000
Secondary School for Boys 1030
Technical School 2195
Ilass Abdulalgabar Primary School 6000
Alalia Primary School 800
TOTAL 37.456

Ben 37.456 rifugiati, un numero simile alla popolazione nativa di Kass!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

In questa ottica si prepara l’intervento della Cooperazione Italiana, agire quanto prima rinforzando l’acquedotto di Kass per dare accesso all’acqua ai rifugiati ed ai residenti locali.


Continua a leggere...




Inoltre l’obiettivo era quello di migliorare anche la situazione dei pozzi nelle aree limitrofe:

Darwa
Danga
Singita
Guba
Dibis
Martuga
Al Hamia
Jimmida


Inizialmente l’ONG CESVI fu incaricata di portare avanti I lavori dell’acquedotto di Kass, ma a causa dei continui ritardi l’ufficio della Cooperazione Italiana rimosse l’ong da questo incarico.
Non essendoci altri partner nella zona, l’ufficio della Dott.ssa Contini decise di portare avanti i lavori senza intermediari.
Nasce cosi’ un primo progetto quello di Kass, che in linea di massima possiamo definirlo come nella scheda sotto:

PROGETTO: Riabilitazione Acquedotto ed ampliamento rete di distribuzione
Dati

Zona d’intervento: Stato del Darfur Meridionale
Settore di Intervento: Idrico
Tipo d’intervento: Riabilitazione dell’acquedotto attraverso la costruzione di pozzi, condotte e distributori
Beneficiari: circa 90.000 persone fra profughi e abitanti della città di Kass
Controparte locale: Compagnia Nazionale dell’Acqua
Durata prevista: tre mesi dal 13 settembre 2005
Totale finanziamento ricevuto: 462.618,00 euro
Stato dell’Intervento :
Giustificazione dell’Intervento: l’acquedotto preesistente non era in grado di sostenere la richiesta della popolazione residente e del crescente numero di sfollati. Per questo motivo e’ stato necessario riabilitare le vecchie condutture e costruirne di nuove per migliorare gli standard igienico sanitari della popolazione.
Il progetto di oltre 400.000 Euro doveva avere luogo in tre mesi, ed aveva l’obbiettivo di coprire appunto oltre 90,000 beneficiari.
Nonostante l’impegno del personale coinvolto, i problemi non tardarono a mancare. Da un lato ci furono richieste da parte degli abitanti locali di esosi affitti per la costruzione e lo scavo di tre pozzi in terreni privati, dall’altro l’assenza di un vero e proprio Comitato di gestione dell’acquedotto che includesse autorità locali e beneficiari fece naufragare l’intera operazione. In effetti i lavori furono fin dall’inizio lasciati alla gestione del buon Ingegnere Yassir (ingegnere del dipartimento locale) che nonostante tutti i suoi sforzi veniva puntualmente fermato dall’ufficio centrale di Wes di Nyala e dall’ufficio dell’Unicef in rotta con la Dott.ssa Contini , causa pare mancato coordinamento per la gestione dei lavori.

Ma ricordiamo le tappe di questo intervento :

Data :03 Settembre 2005

Luogo : Nyala, Sud Darfur

Rappresentanti : Governatore del Sud Darfur

Oggetto :Presentazione Progetti della Cooperazione Italiana

Il 03 Settembre del 2005, il Governatore del Sud Darfur l’Ing. Al Haj Atta Al Mannan incontra la Dott.ssa Barbara Contini per discutere dei progetti del governo italiano in Darfur. L’inviato speciale del governo italiano Dott.ssa Barbara Contini in quell’occasione sottolinea l’importante intervento umanitario che il governo Italiano sta attuando nei settori sanitari ed idrici e si impegna per una risoluzione definitiva del problema dell’acqua di Kass e di Gemeza Komera.Infatti proprio il 03 settembre del 2005 il Governatore del Sud Darfur verrà informato da parte della Dott.ssa Contini che l’acquedotto di Kass verrà definitivamente riabilitato.

Data 14 Settembre 2005

Iniziano i lavori.......................

Mentre i lavori per l’acquedotto di Kass procedono a rilento a causa anche del mancato arrivo dei camion con i materiali da Khartoum, il 21 Novembre 2005 la Dott.ssa Contini decide di ampliare l’area d’azione investendo altri 60.000 Euro per Gemeza Komera. Questa decisione veniva presa nonostante i lavori di Kass fossero tutt’altro che finiti.

Perchè Gemeza Komera?

Gemeiza Komera si trova a 22 km da Kass, sulla strada che collega Nyala a Zalinje ed El genena.L’area era nota per l’abbondante quantita’ e l’ottima qualita’ della sua acqua , la quale crea un territorio ideale per l’agricoltura e la pastorizia.L’idea della Contini era basata su uno studio di fattibilita’ svolto con il sostegno della Compagnia dell’Acqua del Darfur Meridionale. Infatti la Cooperazione decide di intervenire realizzando due pozzi profondi di 30 metri e riabilitando 2 pozzi esistenti. I pozzi dovevano essere collegati da una rete di distribuzione lunga 22 km all’acquedotto di Kass.

Questo in sintesi il progetto. Ossia rafforzare l’acquedotto di Kass utilizzando il bacino di Gemeza Komera.

Una buona idea, peccato che a seguire l’operazione dal gennaio del 2006 fu posto il fallimentare [...] giovane inesperto che fu causa anche delle controversie ed in pârte del fallimento di Avamposto 55.

Ma i soldi per costruire Gemeza Komera,dove li prese la Contini?


Beh in effetti, i fondi furono resi disponibili dalla mancata attuazione di attivita’ di progetto da parte della ONG COSV che non essendo riuscita a portare avanti le attività sull’ospedale di Kulbus, rese disponibile oltre 60.000 euro da utilizzare prima della chiusura dell’anno contabile del MAE.
Questi fondi furono immediatamente girati ed investiti da Cooperazione Italiana in un progetto idrico, appunto quello di Gemeza Komera.
I lavori idrici per Gemeza Komera dovevano iniziare subito dopo la partenza del gruppo Contini, avvenuto nel dicembre del 2005.
Gemeza Komera non vide mai la luce, e quando nel 2006 scesi in Darfur per trenta giorni nel mese di settembre mi fu comunicato [omissis, ndr]che nessun lavoro era stato fatto.
Comunicai la cosa subito all’ufficio del Governatore, ma oramai erano passati ben 10 mesi senza che nessuno avesse mai fatto nulla per Gemeza Komera.Troppo tardi!!!.

Per quanto riguarda il progetto di oltre 400.000 Euro di Kass, posso solo dire che questo progetto benchè supportato dal responsabile di Wes Mr.Yassir ebbe breve vita.
Le ragioni del fallimento?
Per quanto riguarda Kass mi devo ripetere, ma credo fermamente che la ragione del fallimento è da ricercare nella mancata creazione di un Comitato di gestione che doveva farsi carico della raccolta delle contribuzioni e della gestione dei punti di distruzione d’acqua.

L’area in effetti fu divisa in 12 zone, ed in ogni zona doveva avere luogo un comitato che si prendeva la cura e l’onere di seguire i servizi, di raccogliere i pagamenti e di portare avanti le riparazioni.
Una volta terminata l’opera nessuno si fece carico di seguire il comitato e da li a poco l’acquedotto ha cessato di operare.
Per quanto riguarda il progetto di Gemez Komera l’errore principale fu quello di aver avviato un progetto nella fase terminale della presenza dell’ufficio della cooperazione italiana in Darfur.I soldi furono lasciati all’ufficio di Wes che ne fece una gestione clientelare e privatistica.
Il progetto era condannato sin dalla sua nascita!

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venerdì, luglio 11, 2008

Genocidio e crimini contro l'umanità,le accuse nei confronti di Omar Al Bashir


Prende sempre più corpo l'ipotesi di un mandato d'arresto nei confronti di Omar Al Bashir,presidente del Sudan per crimini contro l'umanità e genocidio.
La notizia era stata diffusa dal Washington Post, e confermata da un comunicato del Procuratore capo del Tribunale, Luis Moreno Ocampo, che ha annunciato la presentazione di nuove prove dei crimini commessi in Darfur, chiedendo l'incrimanazione di più sospetti.
Prima d'oggi Moreno Ocampo ha anche ottenuto due mandati d'arresto per crimini di guerra e contro l'umanità nei confronti dell'ex ministro dell'Interno Ahmed Harun, oggi ministro degli Affari umanitari, e il leader dei janjaweed Ali Kosheib, entrambi ancora in libertà a causa del rifiuto del governo sudanese di consegnare i criminali.
Il timore è che questo mandato di cattura possa scatenare gli attacchi da parte delle stesse milizie governative e filo-governative contro i soldati della forza di pace ONU-UA schierati nella regione sudanese, già vittime nei giorni scorsi di un attacco che è costato la vita a sette peacekeepers e il ferimento di altri 22. L'altro rischio è quello di far saltare la già fragilissima trattativa di pace tra governo e ribelli. Timori confermati dall'ambasciatore sudanese all'Onu, Abdalmahmood Abdalhaleem Mohamad, il quale ha affermato che l'incriminazione di Basahir potrebbe distruggere i tentativi della comunità internazionale di trovare una soluzione pacifica al conflitto.

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martedì, luglio 08, 2008

Franco Bernabè: dal 2000 in Petrochina, colosso cinese in Sudan.

"Il mondo del petrolio è legato a talmente tante variabili geopolitiche che è difficile dire se si è ottimisti o pessimisti." F.Bernabè *

Franco Bernabè, attuale amministratore delegato della TELECOM Italia, è dal giugno 2000 anche direttore non-esecutivo di Petrochina, il colosso petrolifero cinese in Sudan, carica confermata anche per il 2008, il 15 maggio scorso.
La Petrochina, che l'anno scorso, al suo esordio in borsa, ha stracciato per capitalizzazione il record Exxon, è posseduta per l'88% dalla statale China National Petroleum Corporation. La CNPC è additata dalle ONG e dai maggiori analisti mondiali come principale sostenitore politico e finanziario del governo del Sudan e, indirettamente, del conflitto in corso da ormai cinque anni in Darfur [leggi PetroChina, CNPC, and Sudan: Perpetuating Genocide.] Le armi usate dalle milizie paramilitari janjaweed, di fabbricazione russa e cinese, sostenute dal governo centrale sarebbero infatti acquistate con i proventi della vendita del petrolio, la cui estrazione è aumentata, dal 2000 ad oggi, del 291% e di cui principale acquirente è proprio la CNPC. Non mancano, seppure in misura limitata, le compagnie europee, come la Lundin Petroleum, svedese.
Ci auguriamo che Franco Bernabè, che in passato ha già dato prova di sensibilità presso il MART e il Peres Centre for Peace, possa, quale direttore della Petrochina, impegnarsi al più presto per ispirare una politica aziendale più attenta al rispetto dei diritti umani in Sudan.

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A Kalima, figlia del Darfur

Riceviamo e pubblichiamo il testo di Gavino Puggioni, da Sassari, ispiratosi alla figura di Kalima, protagonista della newsletter di Maggio:

A KALIMA, UNA DONNA

Kalima era una bambina
figlia del Darfur,
luna di terra arroventata
dalle parti del Sudan e giù di lì.

Kalima era una bambina
data in moglie ad uno più grande di lei,
per vivere
e far vivere la sua famiglia.

Sogno sporcato dalla violenza
Kalima calpestata
Kalima violentata
in tutte le parti del corpo.
Kalima violentata da tutti
e lasciata sola
nell'ombra oscura della sua anima
che è già oltre i cancelli del nulla.

Cammina, Kalima, scacciata
perchè ha dato il suo corpo
al diavolo, a tutti i diavoli
che l'han posseduta
perchè puttana.

MA LEI NON VOLEVA

Come ora non la vogliono più,
nemmeno i suoi parenti
e quelli del suo villaggio
perchè puttana.

Cammina Kalima
dall'alba al tramonto
con la luna bianca
col sole cocente e la polvere rossa.
Non vede e non sente
neppure le sue ossa.

Le avevan detto
di andare sempre dritta
in questo stradone di ingiustizie
perchè alla fine
avrebbe trovato acqua e pane
invece di fuoco e fame e mestizie.

E Kalima va e non sa.
Continua a calpestare
quella terra arroventata,
a piedi nudi, capelli al vento,
il corpo straziato fuori e dentro,
a piedi nudi
con l'anima violentata.

Kalima era una bambina
ora è una donna del Darfur,
bella come tante altre,
bella ma demonizzata.

Kalima è nostra
è storia umana
e ci appartiene
perchè Kalima non è una puttana.

Gavino Puggioni Sassari
luglio 2008

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domenica, luglio 06, 2008

Sudan - Aggiornamento International Crisis Group - Giugno 2008

L’8 giugno è stato raggiunto un accordo per porre fine agli scontri tra Nord e Sud del Sudan per la regione ricca di petrolio dell’Abyei. Due settimane dopo, il National Congress Party (NCP) e il Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) hanno deciso di sottoporre la questione dei confini alla decisione arbitrale della Corte Internazionale dell’Aja.
Un rapporto del 1° luglio mette in evidenza che entrambe le parti non hanno rispettato la scadenza di fine giugno per il ritiro.
Il 18 giugno, Khartoum ha accusato 39 persone di un coinvolgimento negli attacchi del Justice and Equality Movement (JEM) dello scorso maggio.
I leader dei paesi dell’Unione Europea hanno chiesto al Sudan di consegnare le persone accusate dalla Corte Penale Internazionale, minacciando nuove sanzioni. In un rapporto al Consiglio di Sicurezza del 5 giugno, il procuratore Moreno-Ocampo ha parlato di “ prove che dimostrano l’esistenza di campagne organizzate da funzionari del governo del Sudan” ed ha promesso di presentare a Luglio nuovi casi da sottoporre al giudizio della Corte. Il presidente cinese Hu Jintao ha chiesto al Sudan di fare di più per la pace nel Sudan, nel tentativo di porre fine alle polemiche per i legami tra Pechino e Khartoum.
I ribelli della fazione SLM-Unity hanno dichiarato di aver ucciso almeno 160 soldati dell’esercito sudanese degli scontri nel Nord del Darfur, promettendo di estendere le operazioni al di fuori della regione.
Il 30 giugno, durante il summit dell’Unione Africana, il Ministro degli Esteri del Burkina Faso Djibril Bassole è stato nominato mediatore UA/ONU in sostituzione dedegli inviati jan Eliasson (ONU) e Salim Ahmed Salim (UA).
Fonte Crisis watch, International Crisis Group, n. 59, 1 luglio 2008 : testo tradotto da Stefano Cera per IB4D

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