Il blog di Italians for Darfur

martedì, settembre 30, 2008

L'UNAMID forma i primi giornalisti per la radio libera del Darfur

Dopo un corso intensivo di un mese, condotto a El Fasher e a Karthoum, sono stati consegnati i primi attestati, coseguiti lunedì 29 settembre da dieci aspiranti giornalisti radio del Darfur.
L'iniziativa è stata promossa dal Public Communication and Public Information Division (CPID) dell'UNAMID, la missione di pace congiunta ONU-Unione Africana (dei 26.000 uomini previsti, solo 9.000 sono presenti in Darfur e saranno 11.000 entro il 2009).
I dieci nuovi giornalisti sono stati selezionati tra oltre 1500 candidati da tutte le provincie del Darfur. Alcuni opereranno nella radio dell'UNAMID, altri nelle radio locali, con un bagaglio professionale notevole e al servizio della pace e della libera informazione. Kemal Saiki, direttore della CPID, non esclude tuttavia la possibilità che i giornalisti possano essere arrestati per reati di opinione, in un Paese in cui il diritto alla libera espressione è spesso negato.

Link: Dossier 2008 di Reporters sans Frontieres

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lunedì, settembre 29, 2008

"Forse perché sono solo dei negri del deserto la loro morte suona meno dura?"

Al Bashir , teorico dell’assolutismo

di Giorgio Trombatore

Quando Jean Bodin nel XVI secolo descrisse la teoria dell’assolutismo aveva in mente come modello quello che oggi è possibile trovare in molti paesi del terzo mondo incluso il Sudan.
La teoria del Princeps legibus solutus (principe sciolto dalle leggi) si potrebbe applicare al leader Omar Al Bashir che guida incontrastato il Sudan oramai da anni.
Non solo si è fatto beffa della decisione del tribunale internazionale dell’Aia per i crimini commessi contro il suo stesso popolo, il leader in questione continua a governare il paese impunemente con mano di ferro che non esita a mettere in pratica soprattutto nelle zone periferiche del suo immenso paese lontano dagli occhi degli osservatori stranieri che nicchiano di fronte al tiranno per tutelare gli interessi dei loro paesi.

Eppure a lui sono da imputare la sorte di milioni di sudanesi che nell’ultimo decennio hanno visto le loro case distrutte da gruppi armati di miliziani filo-governativi.
I famigerati Janjaweed guidati nei primi tempi da personaggi come “Musa Hilal” hanno seminato il terrore nelle tre regioni del Darfur. Interi paesi rasi al suolo, donne violentate, bambini uccisi il tutto portato avanti con impunità per anni.

Una situazione preoccupante che nel tempo ha contagiato anche il vicino Chad.
Nessuno si augura ovviamente che questo conflitto inter-etnico possa estendersi nei paesi confinanti per non rivivere ciò che ebbe luogo nel vicino Congo dove il conflitto dei Banhamulenge coinvolse diversi paesi del centro africa tra cui l’Angola, il Ruanda, il Congo e lo Zambia.

Ma oggi in Sudan nonostante il tribunale dell’Aia abbia emesso il suo mandato contro Al Bashir ed uno dei suoi ministri, i paesi europei ed extraeuropei continuano a firmare accordi commerciali come se nulla fosse rendendosi complici del regime.
Forse perché sono solo dei negri del deserto la loro morte suona meno dura?
La Cina ad esempio, che ha appena ospitato le olimpiadi , da anni è in prima linea nel paese africano per sfruttare la produzione del greggio fornendo in cambio assistenza tecnica. Certo questo non impedisce ai cinesi di chiudere gli occhi di fronte alle barbarie perpetrate dai soldati di Al Bashir.
In tutto questo casino mi chiedo che cosa faccia e cosa dice Silva Ker?Che io sappia nulla,ma se qualcuno mi smentisce ne sarei molto contento.
Sicuramente per Omar Al Bashir l’assenza di un leader come John Garang ha reso le cose più semplici. Privo di una vera e propria opposizione interna, il leader ogni qualvolta deve fronteggiare da parte dell’opinione pubblica critiche sul suo operato, organizza la solita sceneggiata nelle strade con manifestazioni pro-governative.
I mullah delle moschee di Khartoum chiamano a raccolta centinaia di fedeli che come pecore si riversano nelle strade di Ahmarat per protestare contro l’occidente filo-sionista.
In tutto questo bisogna aggiungere anche l’assenza di un Al Jazeera.
Questa emittente del Qatar che tutti conoscono sempre pronta a denunciare le guerre perpetrate contro i musulmani nel mondo è inspiegabilmente assente in Sudan.
Colpisce questa assenza da parte di quei giornalisti sempre pronti per condannare l’esercito israeliano nei territori di Gaza oppure per attaccare la politica americana in Iraq .
Ma in Sudan dove sono? Come possono essere assenti da anni in questo paese dove vergognosamente si cerca di coprire crimini di massa commessi non da crociati ma da musulmani .
Aggiungerei che sono anche stupito dell’assenza di Al Zawahiri, il numero 2 di Al Qaida, almeno lui si poteva fare vivo per condannare crimini interni all’islam.
Probabilmente non conviene alla politica di Al Jazeera , ne a nessuno altro mandare immagini che trattano di musulmani che uccidono altri musulmani. Non è bello denunciare al mondo islamico che fratelli musulmani si uccidono per il loro colore della pelle e per problemi etnici in barba ai precetti del Corano di fratellanza neanche fossero miscredenti.

Allora , Non ci resta che lodare il tentativo del tribunale dell’Aia di portare in giudizio Omar Al Bashir . Lodiamo il tribunale come condanniamo i nostri ambasciatori che non si fanno scrupoli di partecipare ad i coktails a Khartoum come se nulla fosse.

Mi viene in mente una frase di Charles Peguy contro il Presidente della lega francese dei diritti dell’uomo Francis de Pressensè che sosteneva il diritto di ingerenza contro quei paesi come la ex Jugoslavia o l’Afghanistan ma mai contro quei paesi forti come la Cina .
A questo proposito Charles Peguy disse “Pressensè è a favore del diritto contro la forza quando la forza non è forte” così oggi l’Unione Europea pressa la debole Serbia per consegnare i suoi generali di guerra dell’ex conflitto dei balcani ma tace sui crimini commessi in Sudan.

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martedì, settembre 23, 2008

Esecuzioni sommarie e arresti arbitrari: ancora accuse a Khartoum. Ma la conta dei morti non si ferma: nuovi attacchi aerei in tutto il Darfur.

L`organizzazione non governativa Darfur Relief and Documentation Centre, con sede a Ginevra, ha rilanciato nei giorni scorsi pesanti accuse al governo sudanese: almeno 500 civili e presunti ribelli sarebbero stati uccisi nei tre giorni successivi all`attacco alla capitale a Maggio. Altre 4000 persone, la maggior parte senza legami con i movimenti ribelli, sarebbero state arrestate arbitrariamente negli stessi giorni.
Mentre si contano i morti dei mesi scorsi, il governo sudanese continua a fare uso dell`aviazione militare contro i villaggi in tutto il Nord Darfur e sferra nuovi pesanti attacchi alle forze ribelli di Minni Minnawi, reo di essersi dichiarato favorevole all`incriminazione per crimini di guerra del Presidente Al Bashir, del cui governo fa parte in base agli accordi di Abuja. Nell`ultima settimana, sono fuggiti in migliaia dai villaggi del Nord Darfur, rifugiandosi sulle montagne, lontani da ogni possibile aiuto, riferiscono le organizzazioni umanitarie.
Non mancano ovviamente le condanne di una parte della comunita` internazionale, che non e` mai stata avara di inchiostro, tra cui l`Unione Europea, la cui presidenza ha oggi rilasciato una dichiarazione ufficiale dai toni piu` severi del solito.
Alle Nazioni Unite sono in molti a domandarsi se l`incriminazione di Bashir, che appare sempre piu lontana dopo la presa di posizione di Francia e Unione Africana, possa destabilizzare ulteriormente la regione. Gli interessi in gioco in realta` sono tanti e diversi: il Procuratore Capo Moreno Ocampo vola a Ginevra per rilanciare la sua richiesta; qualcuno gia` pensa di dirottare l`aereo..

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domenica, settembre 21, 2008

"Il Governo di Al Bashir dal 1989 sceglie sempre il mese del ramadan per perpetrare le uccisioni"

di Suliman Hamed (rappresentante rifugiati del Darfur in Italia)


Il 12 settembre, giorno di ramadan, i janjaweed ed i soldati del Governo sudanese hanno bombardato con aerei alcuni paesini ad Ovest di Al Fasher (Darfur). Tarni, Owila, Birmaza e tante altre zone del Nord Darfur, che non registrano la presenza di forze degli eserciti di ribelli, sono state colpite dall’attacco. Molti civili innocenti hanno perso la vita, in un attacco inaspettato, che il giorno dopo si è esteso all’intera regione del Darfur. Dopo questo attacco il Jem e l’ SLM hanno deciso di mettere insieme e le proprie forze per combattere gli attacchi del Governo. Giorno tredici circa cinque aerei bombardieri hanno colpito la zona di Sinet, dove Minnie Minnawi, dopo aver rotto l’accordo con il Governo sudanese nel maggio 2008, si era rifugiato con il suo esercito.Molti civili sono stati colpiti dall’attacco ed hanno perso la vita. Il 14 settembre, ad Est del Gabel Marra, sono morti molti civili, janjaweed, soldati dell’esercito sudanese, e ribelli dell’SLM e del Jem.
Il 15 la guerra è arrivata a tutte le zone del Darfur, con violenti bombardamenti. Solo nelle grandi città non ci sono state tracce del conflitto, perché il Governo sudanese si è reso conto che tutti gli eserciti di ribelli si sono uniti per far fronte al suo attacco, durato fino a giorno 17. E’ stato un momento molto importante, che ha segnato la ricongiunzione delle forze dei ribelli, che si sono unite dopo che nel 2006 si erano separate. Secondo le stime i morti di questo attacco cruento sono stati più di mille, tra esercito regolare, ribelli e vittime civili. I media tacciono il numero reale delle vittime, nessun giornalisti era presente in Darfur per documentare l’acceduto e le vittime della guerra in Darfur continuano ad essere invisibili. Il 18 finalmente tutti i capi del Governo sudanese sono arrivati ad Al Fasher per convincere Minni Minnawi ad un nuovo accordo con il Governo di Al Bashir. Ali Usman Taha, Vice Presidente sudanese, il Ministro dell’Interno sudanese, Abdel Gadir Sbdrat il Ministro della Giustizia, il capo dei Servizi Segreti sudanese Sala Gos e il Ministro della Difesa Marscal Abdrahim Mohamed Hussein, si sono recati ad Al Fasher per trovare un accordo con l’esercito dei ribelli, ma Minni Minnawi ha rifiutato.
Nel maggio 2006 Minnawi aveva firmato un accordo con il Governo, che prevedeva la ricostruzione delle case distrutte dalla guerra in Darfur, il ripristino delle scuole, delle reti di comunicazione, il ritorno dei rifugiati nei loro paesi d’origine, il disarmo dei janjaweed (eserciti di mercenari che hanno devastato il paese con cruenti attacchi alla popolazione civile) e l’impegno di portare in Darfur lo stesso progresso esistente nel resto dell’intero Sudan. Quest’accordo, ad oggi, non è stato rispettato e nel maggio 2008 Minni Minnawi ha lasciato Karthoum per tornare in Darfur, senza però sferrare alcun attacco al Governo. In seguito all’attaco del 12 settembre, però, le cose sono cambiate. Il 19 settembre Minni Minnawi ha affermato che se entro dieci giorni il Governo non provvederà a tener fede agli accordi presi i ribelli faranno sentire la loro voce.
Qualunque giornalista interessato ad avere notizie può rivolgersi a Suliman Hamed.
Koiss2778[at]maktoob.com
Tel 348.7937982

( foto di Suliman Hamed al campo profughi del Darfur in Chad di Tolom)

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sabato, settembre 20, 2008

2 - I "missionari" di Mile

Mile è un villaggio situato tra Greda, capoluogo dell'etnia Tama, e Iriba, città zaghawa kobè controllata dal sultano Haggar. Rispetto a Kolungo, Mile è a quindici km più a nord, più o meno a metà del viaggio tra Kolongo e Tolòn. Questa è la tipica distanza tra due villaggi profughi vicini, ovvero 15-20 km.

Mile vuol dire “sale” in arabo, ma non sembra che qui intorno ci siano saline

In questo campo ci sono circa cinquantamila profughi

Quando sono arrivato al campo, il primo segno dell'Europa ad accogliermi è stato il cartello dell'Unicef. Solo il cartello, però, perché del personale non è rimasto nessuno.
La situazione era difficile e gli ultimi erano partiti il 5 giugno, circa due settimane prima del mio arrivo. Nei campi non ho mai visto neanche un europeo e la motivazione ufficiale era la mancanza di sicurezza. I profughi mi hanno detto che il vero problema non era la sicurezza, ma la lotta tra le popolazioni locali e le organizzazioni politiche per la divisione del cibo che veniva portato con i camion. Il personale europeo si è trasferito a N'djamena e Abeche, città più grandi della zona. Lì è ospitato anche il personale europeo di Medici Senza Frontiere, l'unica organizzazione che ogni tanto manda del personale medico nel campo di Mile.


Nell'ospedale qualcuno dorme in un letto, qualcun altro per terra.

Ho parlato molto con il mio amico Mahammud Annur Hamet, medico che lavora con Medici Senza Frontiere. La farmacia non è molto fornita, anzi ci sono pochissimi medicinali, ma lì devono bastare. L'unica medicina necessaria ad essere terminata è quella del flacone a sinistra nella foto, tenuto sul vassoio. “Se MSF non torna entro un mese qui ci sarà un grande problema”, mi ha detto, “soprattutto per i bambini gravi che rischiano seriamente di morire”. Ho contato i bimbi tenuti in degenza con le madri ed erano venticinque.


Sono rimasto cinque giorni in questo campo e l'ho girato angolo per angolo, parlando persona per persona. Io sono del Darfur e basta; tutti i darfuriani sono il mio popolo.

Un grande problema dell'Africa è l'Aids. In Darfur questa terribile malattia praticamente non esiste, ma in Chad c'è e quindi i medici tengono la situazione sotto controllo. In ogni campo c'è un gruppo di volontari che fanno prevenzione; molti di loro sono studenti o maestri sudanesi, molti anche da Khartoum, le cui famiglie sono state cacciate dalle loro terre e per le quali i giovani s'impegnano in quest'opera. Vanno famiglia per famiglia a informare, chiedere, visitare; si occupano molto anche degli anziani e delle persone sole, che più difficilmente si spostano per andare all'ospedale in caso di malessere e che spesso sono vittime di demenza o pazzia.

A questi giovani volontari, l'Unicef ha dato un certo numero di libretti d'una trentina di pagine scritte in francese con alcune foto a colori. Sempre loro, questi veri e propri missionari, si occupano anche dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni, che non andando più a scuola sono liberi di girare per il campo e facili prede del reclutamento da parte di organizzazioni militari. Questo è un problema particolarmente sentito nei campi profughi, come ho già detto a proposito della scuola di Kolungo.

Una scena che ho visto ripetersi in quei giorni e che farebbe inorridire un europeo è il trasporto delle donne che stanno per partorire. Non ci sono strade vere e proprie e non ci sono ambulanze né automobili, ma solo carretti ad assale rigido trainati dai buoi. Il carro arriva sul posto guidato dalle urla e la donna viene posta di peso sul carro, che quindi di sobbalzo in buca va lentamente verso l'ospedale.


(c) Copyright 2008 Suliman Ahmed Hamed

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domenica, settembre 14, 2008

Micro-folding per l'edilizia in zone difficili

Uno dei tanti problemi delle zone difficili è la condizione dell'edilizia. La tecnologia ha portato alla ribalta materiali nuovi, leggeri e resistenti, on i quali è possibile edificare strutture semplici ma resistenti in poco tempo e con manodopera a diversa specializzazione, ma queste realizzazioni restano allestimenti di prova in esibizioni per architetti e non diventano mai una realtà dove servirebbero.



Mirco Bianchini, laureando architetto, ha incentrato la sua tesi su questo argomento, che chiama “micro-folding”. Anche il suo è un progetto, ed essendo uno studente non poteva essere altrimenti. Però l'ha calato nella realtà del Darfur (e di altri posti “difficili”), nel villaggio di Bir Maza (Nord Darfur). Ovviamente in quelle terre non si possono produrre direttamente i materiali e quindi andrebbero importati, il che è un problema (ma non grandissimo, visto che sono leggeri ed occupano poco volume), ma poi potrebbero essere usati per dare una qualità di vita migliore ed essere facilmente modificabili ed adattabili a nuove esigenze.
Mirco contattò IB4D agli inizi dei suoi studi, pensando che noi potessimo fornire a lui alcune informazioni che gli servivano. Purtroppo così non è stato. Egli stesso, però, ha trovato altrove le informazioni che cercava, sviluppando la sua tesi in modo molto interessante.

Per ulteriori informazioni potete scrivere a Mirco Bianchini

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giovedì, settembre 11, 2008

Prodi uomo di pace in Africa

Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha nominato l’ex presidente del consiglio italiano Romano Prodi coordinatore degli interventi di peacekeeping in Africa, tra cui quelli nel Darfur, Sudan, Ciad e Repubblica Centrafricana. E’ la prima volta che un politico italiano è chiamato a un incarico del genere e la sua candidatura è stata sostenuta con grande forza dall’Unione Africana, per l’esperienza come presidente della Commissione europea e come premier italiano.
Il ruolo rivestito da Prodi è stato definito dalla risoluzione ONU 1809 del 16 aprile scorso, in cui si chiedeva di migliorare il finanziamento delle operazioni di pace gestite dall’Unione Africana, sotto mandato ONU. L’ex presidente del consiglio presiederà un panel composto anche da un rappresentante americano, uno delle Mauritius, un giapponese ed un cipriota. I lavori del panel inizieranno la prossima settimana e dureranno tre mesi, con consegna di un rapporto al Consiglio di Sicurezza alla fine del 2008. Il compito degli esperti sarà quello di pianificare, in maniera congiunta, gli interventi finanziari che giungono alla comunità internazionale ed organizzare la logistica delle missioni (depositi, personale, armi, soccorsi, ecc.) .
Al momento la situazione delle missioni di peacekeeping in Africa è piuttosto difficile, con situazioni di profonda disarticolazione e notevoli perdite di denaro ed efficienza. Tra queste, purtroppo, spicca la situazione dell’UNAMID (missione congiunta ONU/Unione Africana) in Darfur che, ad oltre un anno di distanza dall’adozione della risoluzione 1769, vede sul campo solo circa 9.000 uomini, circa 1/3 del totale previsto. La speranza è che l’arrivo di Prodi, e soprattutto la creazione del “ruolo” di coordinatore degli interventi in Africa, dia nuovo vigore alle missioni e, relativamente alla missione in Darfur, permetta di trovare le risorse necessarie per rendere, finalmente, l’UNAMID una missione efficace.

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domenica, settembre 07, 2008

Finite le Olimpiadi, finisce la pace

L'esercito attacca i "ribelli" anche nei cetnri urbani. Secondo le informazioni che giungono dalle agenzie, sono in corso aspri combattimenti per l'offensuva lanciata nella serata di ieri dall'esercito governativo a nord del Darfur, più precisamente a Jebel Marra, ma estendendosi ai centri urbani limitrofi e mietendo morti anche tra i civili.
Come di consueto, l'attacco governativo è supportato dall'aviazione: due aerei e quattro elicotteri.

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sabato, settembre 06, 2008

Il 13 Settembre a Barletta "Una canzone per il Darfur"@Arè Rock Festival



La “notte bianca” come occasione per lasciarsi trasportare dalle emozioni e dal ritmo della musica, ma anche e soprattutto per riflettere e prendere coscienza di quello che succede nel mondo: il 13 settembre, in occasione della “notte bianca” di Barletta, l’associazione nazionale per i diritti umani “Italians for Darfur”, che opera sul territorio nazionale allo scopo di sensibilizzare i cittadini in merito alla drammatica situazione del Darfur, presenta il concerto “Una canzone per il Darfur”, in collaborazione con l’Arè Rock Festival।


A partire dalle ore 21 a Piazza Marina saliranno sul palco dell’evento alcune interessanti band barlettane che si sono mostrate sensibili all’argomento, i Pupazzi (rock), il duo acustico OttoCorde e la Shaka (pop-rock), ormai molto nota in Puglia e non solo). Grazie all’Arè Rock Festival, si esibiranno poi le due band che, tra le 30 in gara nella manifestazione, hanno partecipato anche alla sezione speciale “Una canzone per il Darfur”, Garnet (rock, Taurisano, LE) e Chendisei (indie-rock, Bari), e i vincitori dell’edizione 2007 e 2008 del concorso organizzato dall’associazione Europa Giovane, rispettivamente Giovanni Block & Masnada (teatro-canzone, Napoli) e la Fame di Camilla (indie-pop-rock, Fier/Bari).
All'incirca a metà serata, dopo la mezzanotte, è in programma inoltre un live-set d’eccezione con gli special guest della serata, Codefish & Tuna (
ANDRO.I.D. from NEGRAMARO feat. DJ VIVAZ).
L’evento comprende anche una mostra di vignette intitolata “Una vignetta per il Darfur - diamo colore all'informazione” con le tavole di numerosi illustri vignettisti italiani, tra cui Staino, Mauro Biani, Piero Tonin, Vincino e tanti altri, e prevede l'intervento del rappresentante dei rifugiati in Darfur, Sulliman Ahmed.

L’associazione nazionale “Italians for Darfur” si propone di sensibilizzare l'opinione pubblica sul sanguinoso conflitto in atto nella regione del Sudan dal 2003, in cui si sono registrati finora oltre 300.000 morti e 2.500.000 profughi, nel totale silenzio dei media tradizionali(nel 2006 solo un'ora è stata dedicata in TV al conflitto). Per cercare di dare maggiore spazio nei programmi televisivi nazionali di informazione a quel che accade in Darfur, è in corso una raccolta firme, che ha riscorso notevole successo e sta continuando anche online; è stato possibile sottoscrivere l’appello durante ogni serata dell’Arè Rock Festival e lo sarà ovviamente anche durante questo grande evento. Infatti l’associazione adopera infatti anche il linguaggio universale della musica per dare forza ai suoi messaggi: tra gli artisti che collaborano con il movimento, c’è Caparezza, mentre i Negramaro hanno realizzato il video-spot “Via le mani dagli occhi – giù le mani del Darfur”, per rilanciare l’appello di “Italians for Darfur” al Governo Italiano affinché esprima profonda preoccupazione, presso le Nazioni Unite, per la volontà del governo sudanese di non consegnare alla Corte Penale Internazionale i due principali sospettati di crimini contro l’umanità in Darfur, Ahmad Harun and Ali Kushayb. Il video, in cui i componenti della band appaiono con gli occhi coperti da mani non loro davanti ad un televisore non sintonizzato, rappresenta anche una forma di denuncia del silenzio mediatico e dell’indifferenza sulla crisi umanitaria in corso nella regione del Sudan.


Jole Silvia Imbornone
Ufficio stampa Arè Rock Festival ufficiostampa@arerockfestival.it


Per informazioni
Antonio Quarto
http://www.italianblogsfordarfur.it/puglia/
http://www.arerockfestival.it
http://www.myspace.com/arerockfestival

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Un morto e sei feriti per una scodella di sorgo in Darfur. Ma Khartoum si fa ricca con petrolio e cereali.

Martedì scorso, nel campo profughi di Um Shalya, il razionamento delle razioni di sorgo, principale alimento di base, ha scatenato un pesante scontro che ha causato la morte di un uomo e il ferimento di altri sei. A denunciarlo è l''Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR). Il campo, che ospita 6.600 rifugiati del Chad in Darfur, si trova a oltre 70 Km da El Geneina, nel West Darfur.
I profughi del Darfur e del Chad dipendono dalle donazioni di cibo delle ONG e delle organizzazioni governative impegnate sul territorio sudanese, che da molti mesi si muovono con difficoltà, tra agguati ai convogli e mancanza di fondi, come denunciato più volte dal Programma Alimentare Mondiale (PAM).
Eppure, in buona parte del Sudan, si estendono vasti campi di grano, sorgo, arachidi, fagioli, zucca e meloni: è l'emblema della politica di autosufficienza alimentare del Paese che, tuttavia, non contempla tra i destinatari gli abitanti del Darfur, tra i piu' colpiti al mondo per malnutrizione. Khartoum è già pronta a investire 5 miliardi di petrodollari nello sviluppo delle sue fattorie meccanizzate, i cui prodotti saranno, appunto, destinati all'esportazione, soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania.
Paradossalmente, il Sudan è uno dei piu' importanti Paesi esportatori di grano e sorgo, e allo stesso tempo riceve enormi quantità di cibo gratuito, lo stesso che esso produce per l'esportazione. Normalmente, le donazioni di cibo sono rivolte a Paesi che non riescono a soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno aliementare; così non accade per il Sudan, il cui Presidente Bashir, evidentemente, preferisce lasciare agli stranieri l'assistenza dei "cittadini" del Darfur. Il New York Times, che cita fonti ufficiali delle Nazioni Unite, porta ad esempio il volo A/R del sorgo, alimento base in Darfur: l'anno scorso, gli Stati Uniti ne hanno donato ben 283.000 tonnelate, lo stesso quantitativo che il Sudan ha venduto all'estero.

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venerdì, settembre 05, 2008

1 - A Kolungo, o scuola o guerra

Questo è il primo dei racconti di Suliman Ahmed Hamed, rappresentante dei rifugiati darfuriani in Italia, nei campi profughi del Ciad. Da maggio a luglio ha visitato la sua gente fuori dalla sua terra darfuriana, è stato arrestato e quindi rilasciato ed è tornato in Italia. Questo è il suo racconto, sulla situazione, i problemi dei tanti e le tragedie dei singoli. Riceviamo e volentieri pubblichiamo (L.S.)


Il campo di Kolungo si trova vicino alla città di Greda, a 15 km dal confine tra il Chad e il Sudan. Ci vivono oltre ventimila persone di tutte le etine del Darfur. Sono arrivato al campo di Kolungo il 3 giugno 2008, venendo da Farshanà e Gosbeda (dei quali non ho immagini). A questi si sono aggiunte circa settemila persone provenienti dalla battaglia di Genena, tenunta in maggio: queste persone, quasi tutte di etnia Tama, non esano neanche registrate nella lista della distribuzione del cibo: erano i capi zona ad organizzarsi per offrire un minimo di assistenza.

Per prima cosa in questo campo non c’è più supporto medico, perché anche Medici senza frontiere ha abbandonato il presidio per la mancanza di sicurezza. Già avevano un grande problema: le autorità locali vorrebbero avere loro le medicine e il cibo da distribuire alla gente, ma MSF s’è sempre rifiutata.

A Kolungo ho parlato con molte persone ed alcune di queste vorrei presentarvele. Nella scuola il maestro Muhammad, molto giovane (ha circa 25 anni), lavora lì per la sua passione di insegnare ai bambini dei campi profughi. Certo non lo fa per soldi, visto che il suo stipendio mensile è di 20 dollari statunitensi. In una scuola pubblica normale guadagnerebbe 15 o 20 volte tanto, per non parlare delle scuole private, dove lo stipendio è normalmente di 6/700 dollari ma può arrivare anche a mille.

“Due anni fa, le genti del Darfur che stanno in America hanno organizzato grandi cose, tra le quali tre grandi scuole, due in Darfur (Entrambe a Musbet, vicino a Kornoi) e una in Chad (Tina), delle quali pagano molte spese e principalmente gli stipendi degli insegnanti, 150 dollari”. Questa informazione mi è stata data anche negli altri campi che ho visitato.

Nella scuola di Kolungo manca tutto, dalle penne ai quaderni, ai libri; ovviamente di banchi e di sedie non se ne parla proprio! Gli studenti siedono a terra su tappeti o altri tessuti, o anche senza niente, ed ascoltano il maestro.

O scuola o guerra
“Un grande errore di organizzazione manda moltissimi ragazzi a morire in guerra”, denuncia il maestro. “In Sudan la scuola elementare dura otto anni, in Chad solo sei. I ragazzi che vanno a scuola hanno qualcosa da fare, mentre gli altri sono liberi di andare in giro e divengono facile preda del reclutamento di tutti i tipi dei cosiddetti ribelli del Jem e dell’Slm”. La cosa è grave in sé, ma la realtà è anche peggiore: molti di quei ragazzi sono l’unico figlio maschio di mamme rimaste sole e non sempre in buona salute.

La cecità dell'Europa
Di ragazzi ne muoiono davvero tanti. Tra questi ci sono tutti e quattro i figli di Saa’ti Ishag, quattro rimasti sul campo della battaglia di Abu Gamra (2003) e uno nella battaglia di Tina (2004). Saa’ti vive con una delle nuore e i suoi tre figli. La stessa sorte tocca a molte altre persone..
Dalla fine del 2006, Saa'ti è diventato cieco. La cecità è molto diffusa nei campi, perché l’alimentazione è molto deficitaria e si vive troppo al chiuso delle tende e i medicinali che potrebbero aiutarli non si trovano. “Tu che torni in Europa, cerca aiuto per le tante famiglie come la mia, che non hanno possibilità di lavorare”. Saa’ti era un personaggio importante, era Imam di Mughr; “Noi pensavamo che l’Islam fosse una grande religione, ma in tutti questi anni di guerra non abbiamo mai avuto aiuti da arabi o musulmani, né persone né associazioni; le uniche organizzazioni umanitarie presenti sono europee o americane. Raccontagli la storia di quelli come me”.

Distribuzione cibo (sinistra) ed acqua (destra) nel campo di Kolungo


(c) Copyright 2008 Suliman Ahmed Hamed

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Kalma: Italians for Darfur condanna l'indifferenza complice della comunità internazionale

"Italians for Darfur" condanna il silenzio della comunità internazionale dopo i recenti raid delle forze governative sudanesi nel campo profughi di Kalma, nei pressi di Nyala, nel sud del Darfur. “Dopo quello del 25 agosto che ha causato circa 50 morti, tra cui molte donne e bambini, i rifugiati temono un nuovo blitz dei soldati e lamentano l'assenza delle forze di peacekeeping”, afferma in una nota Antonella Napoli, presidente dell'associazione italiana per i diritti umani. “Italians for Darfur - prosegue la nota - esprime grave preoccupazione per l'indifferenza internazionale nella quale continuano a succedersi gli attacchi indiscriminati delle forze di sicurezza sudanesi contro i civili e si appella al governo italiano e all'Unione Europea, affinché il governo sudanese venga richiamato al rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e alla protezione dei civili”. Il campo di Kalma ospita circa 90 mila profughi ed è uno dei più travagliati: secondo il governo di Khartoum, vi trovano rifugio ribelli del Darfur e loro sostenitori, mentre i residenti dicono che il campo è perennemente sotto attacco delle milizie arabe sudanesi filo-governative.
Tratto dal Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 249

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giovedì, settembre 04, 2008

SUDAN; MINISTRO ESTERI: CAOS SE AIA CHIEDE ARRESTO AL-BASHIR

L'Aia, 4 set. (Ap) - Per il ministro degli esteri sudanese Deng Alor, se il tribunale dell'Aia spiccherà un mandato di cattura nei confronti del presidente sudanese Omar Al Bashir, il paese potrebbe sprfondare nel caos e nell'instabilità. A luglio il procuratore del tribunale internazionale dell'Aia Luis Moreno Ocampo ha chiesto ai giudici di spiccare un mandato di arresto per il presidente al-Bashir accusandolo di genocidio in Darfur e una decisione è attesa entro le prossime settimane. Deng Alor, parlando oggi all'Aia, avverte che questa prospettiva aprirebbe una gravissima crisi nel paese, compromettendo il tentativo di giungere alla pace. Incontrando il ministro degli esteri olandese Maxime Verhagen Alor ha detto esplicitamente che qualsiasi mandato di arresto in tal senso "potrebbe causare instabilità politica interna nel paese, ulteriore instabilità... prolungando anche la guerra in Darfur e scongiurando la possibiltià di arrivare a un accordo di pace comprensivo nel sud del paese". Dal canto suo, Al-Bashir ha già detto a più riprese di non riconoscere la giurisdizione del Tribunale Penale Internazionale e si è impegnato a non consegnare mai alla corte dell'Aia alcun cittadino sudanese. Il tribunale dell'Aia ha già chiesto l'arresto del ministro per gli affari umanitari sudanese Ahmed Harun e per uno dei comandanti delle milizie Janjaweed. 

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