Il blog di Italians for Darfur

martedì, aprile 28, 2009

Giornalisti sudanesi temono un altro passo indietro per la libertà di stampa

La Costituzione sudanese (art. 25 e 26) sancisce la libertà di stampa e il diritto alla libera espressione, ma il Presidente sudanese preme per una nuova stretta intorno ai media locali.

Ogni notte le edizioni dei circa 30 giornali sudanesi vengono passate al vaglio del National Press Council , ma la nuova proposta di legge presentata al Government of National Unity prevede anche una ammenda di circa 21.500 dollari per le infrazioni commesse e la chiusura della testata giornalistica.
Nei giorni scorsi Al-Midan, settimanale vicino al Sudanese Communist Party, e Ajras Al-Hurriya, quotidiano del Sudan People Liberation Movement, hanno dovuto cancellare la pubblicazioni di articoli sulla libertà di stampa, il Darfur ed editoriali sulla nuova proposta di legge sull' editoria.

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sabato, aprile 25, 2009

No del neoeletto Zuma alla visita di Bashir in Sud Africa

Il nuovo Presidente del Sud Africa, Jacob Zuma, secondo indiscrezioni della stampa inglese, non inviterà al Bashir alle cerimonie di inaugurazione della sua presidenza, che sarà confermata dal parlamento nei prossimi giorni.

Un segnale importante che fa sperare in una nuova direzione della politica sudafricana nei confronti del Sudan, il cui Presidente è stato formalmente accusatodi crimini di guerra e contro l'umanità il 4 marzo scorso. La decisione della Corte Penale Internazionale non era stata accolta con entusiasmo dal Sud Africa, il Paese economicamente e politicamente più forte dell'Africa, mentre Eritrea, Egitto e Libia avevano accolto nei propri palazzi il presidente sudanese pochi giorni dopo la sua incriminazione.

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giovedì, aprile 23, 2009

70 condannati a morte per l attacco dello scorso anno alla capitale Karthoum.

11 ribelli del Justice and Equality Movement sono stati condannati a morte mercoledì scorso da un tribunale sudanese, per aver attaccato la capitale sudanese nel 2008.
Sale così a 70 il numero dei condannati alla pena capitale per il fallito attacco a Kàrthoum, costato la vita a oltre 200 persone.

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lunedì, aprile 20, 2009

Successo per il Global Day for Darfur '09

Manifestazione al Colosseo con una mostra fotografica
In libreria "Volti e colori del Darfur" pubblicato in collaborazione con Edizioni Gorée

Anche sotto una pioggia incessante la Giornata mondiale per il Darfur 2009, che si è svolta al Colosseo domenica 19 aprile, è stata un successo con centinaia di persone presenti.
L’iniziativa organizzata da Italians for Darfur ha visto l’adesione di numerose associazioni, tra cui Articola 21, Amnesty Italia, La Tavola della Pace, Ugei e l’Intergruppo parlamentare per il Darfur, rappresentato dal presidente, l’onorevole Gianni Vernetti.
La giornata dedicata alla regione sudanese, da sei anni martoriata da una sanguinosa guerra, è stata celebrata in varie capitali europee e negli Stati Uniti.
Il presidente dell’associazione Antonella Napoli ha ricordato l’emergenza che vive la popolazione darfuriana e in particolare ha puntato l’attenzione sulle conseguenze post espulsione delle Organizzazioni non governative, che garantivano assistenza a milioni di sfollati, disposta all'inizio di marzo da Khartoum dopo la decisione della Corte penale internazionale dell'Aia (Cpi) di spiccare un mandato di arresto contro il Presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità. Ha inoltre sottolineato la necessità che queste ong siano sostituite da altre capaci di garantire le stesse capacità di aiuto, e non da ong sudanesi, come annunciato da Khartoum, perchè non in grado di far fronte ai bisogni della popolazione sfollata. Particolarmente toccanti gli interventi del presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, Daniele Nahum, il quale ha sottolineato che non si deve ignorare quello che avviene in Darfur e che come ebrei è doveroso ricordare “perché altrimenti non avremmo compreso gli insegnamenti dei nostri nonni” e di Ambra, una giovane abruzzese di 21 anni che nonostante il dramma vissuto nella sua regione con il terremoto a L’Aquila non ha voluto mancare all’appuntamento con il Global Day for Darfur.
Ha aderito alla manifestazione anche una delegazione radicale, rappresentata dall’onorevole Matteo Mecacci e dal presidente dei Radicali italiani Bruno Mellano.
La giornata è stata occasione per raccogliere fondi, attraverso la vendita del libro “Volti e colori del Darfur” (il volume è in libreria dal 20 aprile e può essere acquistato online attraverso il sito www.edizionigoreée.it) di cui è autrice la stessa Antonella Napoli, a cui è collegata una mostra di foto realizzate nei campi profughi di Al Fasher, Nord Darfur.
Alla manifestazione erano presenti molti rifugiati, che hanno manifestato contro il presidente sudanese Omar Al Bashir, nei cui confronti è stato spiccato un mandato di arresto della Corte penale internazionale per Crimini di guerra e contro l’umanità.
Particolarmente toccante la testimonianza di Mohamed, in Italia da quattro mesi.
“Ho attraversato a piedi il deserto della Libia per poter fuggire dal Sudan. Poi ho viaggiato su un barcone che ha rischiato di affondare due volte e infine dalla Grecia sono arrivato in Italia nascosto sotto un camion. In Darfur non ho più niente. Nemmeno un parente… Io sono un sopravvissuto. Quando hanno attaccato il mio villaggio ero uscito dall’accampamento insieme a una decina di ragazzi per andare a raccogliere legna e radici, le nostre famiglie ne eravamo rimaste sprovvisti quasi del tutto. Eravamo appena arrivati nei pressi di un boschetto quando abbiamo sentito un rumore cupo che veniva dal cielo. Era un aereo governativo. Sono corso verso il primo albero e mi sono arrampicato per vedere dove andava a bombardare. E il terrore è stato grande quando ho capito che il bersaglio era il mio villaggio. Ma non potevo fare nulla. Solo nascondermi. L’attacco è durato qualche minuto, un inferno, solo a sentirlo dal mio nascondiglio tra i rami tremavo come una foglia. Quando gli scoppi e le urla sono finite, ho lasciato il mio rifugio. Mi sono avvicinato con cautela, ma sapevo già purtroppo quello che mi attendeva. Le capanne erano in fiamme, i miei parenti decimati, giacevano al suolo, qualcuno era irriconoscibile, esploso insieme alle bombe che erano piovute dal cielo. Io e gli altri sopravvissuti li abbiamo sepolti e siamo andati via”.
Di storie come quella di Mohamed ne racconta tante nel suo libro il presidente di Italians for Darfur, che ha visitato la regione e ha raccolto le testimonianze di molte donne vittime di stupri, usati come ‘arma di guerra’ dalle milizie arabe dei janjaweed.

Iniziative per il Darfur

Presentazione a Bergamo del libro “Volti e colori del Darfur”
Il presidente di Italians for Darfur ospite della sezione locale di Emergency

P
resso lo spazio incontri della fiera del libro, presentazione del libro “Volti e colori del Darfur”
Andrea Valesini intervisterà l’autrice Antonella Napoli.
Un viaggio tra i rifugiati nei campi profughi del Darfur, le testimonianze dei sopravvissuti alle violenze dei janjaweed, milizie arabe sanguinarie che dal febbraio 2003 massacrano il popolo darfuriano, e delle principali vittime di questo conflitto: le donne. Immagini esclusive e racconti di stupri e di bombardamenti che difficilmente si riesce a documentare, raccolte in un reportage realizzato ad Al Fasher, nel Nord della regione del Sudan che ospita la maggior parte dei campi profughi.

Un reportage nelle aride realtà che ospitano gli insediamenti che accolgono le popolazioni sfollate, fuggite dai propri villaggi a causa delle conseguenze della crisi.
Un’opera tesa a denunciare la continua violazione dei diritti umani in Darfur e a sensibilizzare l’opinione pubblica sul conflitto in atto in questo angolo remoto della terra, troppo spesso dimenticato e che chiede disperatamente aiuto.

Aggiunte il 2 maggio alcune immagini dell’incontro e l'articolo apparso su 'L'Eco di Bergamo'.

sabato, aprile 18, 2009

Facebook forse non più accessibile in Sudan, ma la censura arriva da lontano

Omar, gestore di un noto locale che anima la vita notturna della capitale sudanese, mi spiega perchè il dibattito tra gli internauti sudanesi sul futuro di Facebook si sia fatto tanto acceso nelle ultime settimane. Per denunciare quanto potrebbe accadere presto si sono mobilitati anche numerosi bloggers sudanesi, come AnwarKing.

Il principale social network mondiale, infatti, ha proposto una Dichiarazione dei Diritti e delle Responsabilità che, qualora approvato in via definitiva, negherebbe l'utilizzo del servizio ai Paesi sotto embargo degli Stati Uniti (punto 4.3), tra cui, appunto, il Sudan.

"Hi Mauro,
we in Sudan are now facing two dilemmas, one being:

-The post link service in Facebook site has been blocked by Sudanese National Telecommunication Corporation. that was the first step.
We guess that the second step is to block Facebook site by National Telecommunication Corporation .
Why because there was some political groups against the government . -

and the other:

- Facebook Site Governance: You are bound by the laws of the country that you live in. You may also need to comply with the laws of other jurisdictions, including the laws of the United States (because our headquarters are based in the U.S.).

How are sections like 4.3 (embargoed countries) consistent with the “One World” principle in the proposed Facebook Principles?
As we state in the Principles, our principles are constrained by limitations of applicable law. -

I have addressed the facebook administrators to emphasize that by applying this facebook embargo on countries like Sudan you will be helping the dictatorial government of Sudan who also is working hard to sensor and control the use of facebook as it becomes the new opposition channel for Sudanese living abroad to communicate with the people of Sudan to try and organize opposition movement against the government. By doing so you will be participating to the death of such opposition."

Update: è lo stesso Omar a comunicarmi che, grazie all'attivismo di tantissimi internauti sudanesi e di tutto il mondo, Facebook ha deciso di rivedere il tanto discusso punto 4.3.

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venerdì, aprile 17, 2009

Genocidio o crimini di guerra e contro l’umanità?

E' sempre vivo il dibattito internazionale sul genocidio nel Darfur. A tal fine ospitiamo un commento di Flavia Piccari, neo-laureata in Scienze Politiche (Facoltà Roma Tre) con la tesi dal titolo "Identità, violenza e genocidio" (Nota di Stefano Cera).

Uno dei punti essenziali per comprendere se in Darfur è in atto un genocidio è verificare l’intenzione di compierlo, o dolus specialis, poiché ciò che succede sul terreno da solo non costituisce una prova sufficiente: il valore discriminante è la volontà di chi compie il crimine.
A questo proposito, nel 2004 la risoluzione 1564 del Consiglio di Sicurezza Onu ha istituito la Commissione incaricata di investigare le violazioni dei diritti umani e l’accertamento dell’eventuale genocidio (ICID), presieduta dall’italiano Antonio Cassese e composta da altri quattro qualificati esperti internazionali: l’egiziano Mohammed Fayek, il pakistano Hina Dilani, il sudafricano Dumisa Ntsebeza e il danese Therese Striggner-Scott. La Commissione termina il suo lavoro nel Gennaio 2005 riconoscendo che il Governo sudanese non ha perseguito una politica di genocidio nella regione, essendo assente dunque “l’elemento cruciale”, ovvero l’intenzione di compierlo. Dichiarazioni analoghe sono state effettuate anche dall’Unione Africana e dall’ex Segretario Generale ONU, Kofi Annan, che nel Giugno 2004 dichiara che non si può parlare di genocidio, sebbene ci siano state massicce violazioni del diritto internazionale umanitario. La Commissione ha compilato una lista di 51 persone da sottoporre ad inchiesta per atti criminali: 10 elementi di rilievo del governo centrale, 17 funzionari del governo locale, 14 membri delle milizie dei janjaweed, 3 ufficiali di eserciti stranieri e infine 7 comandanti delle forze ribelli. Inoltre, nel rapporto sono state presentate due importanti raccomandazioni che, cosi come le conclusioni del verdetto, non sono piaciute a molti: incaricare il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja di perseguire i presunti colpevoli e creare una commissione per il risarcimento delle vittime. Gli USA avrebbero voluto una condanna più decisa e per questo hanno fatto pressioni per l’incriminazione delle autorità sudanesi, ma non davanti a quella Corte Penale Internazionale che non hanno mai riconosciuto. Una delle proposte dell’ex Presidente americano Bush è stata quella di ampliare le competenze del Tribunale Penale per il Ruanda. Cina e Russia, due paesi permanenti del Consiglio di sicurezza ONU che intrattengono ottimi rapporti commerciali con il Sudan, hanno voluto evitare problemi al Governo di Khartoum, soprattutto ora che l’accusa di genocidio non ha trovato conferma nel rapporto.
L’UE ha invece proposto di attivare il Tribunale Penale Internazionale, accettata poi con la risoluzione 1593 del Marzo 2005 con undici voti a favore e l’astensione di Cina, Brasile, Usa ed Algeria. Secondo Cassese, è sbagliato ritenere che l’accusa di genocidio faccia scattare meccanismi di garanzia o di protezione diversi da qualunque altro tipo di intervento previsto in caso di quest’ultima tipologia di crimine. Inoltre, sostiene che ogni volta che si verifica l’uccisione di migliaia di persone si debba necessariamente parlare di genocidio, ma dal punto di vista del diritto internazionale c’è una Convenzione e delle norme consuetudinarie che richiedono non solo che vengano compiuti degli atti (dall’omicidio fino all’impedimento delle nascite di un gruppo determinato di persone), ma anche che questi siano compiuti nei confronti di quattro tipi di gruppi: razziale, religioso, etnico o nazionale. Il terzo elemento da dimostrare è il dolus specialis.
Il 14 luglio del 2008 il procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha chiesto alla Camera Preliminare di emanare un mandato d’arresto a carico del presidente sudanese Al Bashir con l’accusa di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Secondo il procuratore, vi sarebbero prove sufficienti a dimostrare che Al Bashir ha progettato e messo in opera un piano per distruggere i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa, giustificando le operazioni come contro-insurrezione, ma perseguendo in realtà un intento genocidiario. Dopo aver considerato per quasi otto mesi le prove presentate dal procuratore a sostegno della propria richiesta, il 4 Marzo scorso la I Camera Preliminare ha emesso un mandato d’arresto a carico del Presidente sudanese per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, mentre i tre capi d’accusa per genocidio non sono stati confermati. Un fatto rilevante da ricordare è l’opinione dissenziente di uno dei tre giudici, Anita Uša-cka; nonostante ciò, la Camera Preliminare ha ritenuto che le prove presentate dal Prosecutor non fossero sufficienti ad attestare la sussistenza di un dolus specialis.
Il portavoce del ministero degli esteri sudanese, Ali al Sadig, ha affermato che il Sudan non riconosce nulla di ciò che proviene dal Tribunale Penale Internazionale, mentre il secondo vicepresidente della Repubblica, Ali Osman Taha, altro possibile indagato della Corte, ha definito “politiche” le accuse mosse a Bashir. Un’altra fonte del governo, anonima e citata dal sito d’informazione arabo “Elaph”, ha invece sostenuto che le reazioni dell’esecutivo nei confronti della comunità internazionale “saranno durissime”, tra cui l’impedimento del lavoro di tutte le organizzazioni internazionali in Darfur, come sta avvenendo attualmente.
Flavia Piccari

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mercoledì, aprile 15, 2009

Aiutaci devolvendo il 5 x 1000 a Italians for Darfur ONLUS

Puoi sostenere le campagne di Italians for Darur ONLUS attraverso donazioni deducibili dal reddito su conto corrente BANCA ETICA, IBAN IT78W0501803200000000128424, intestato a Italians for Darfur Onlus, Via Mauriac 30, 00143 Roma (RM).










C''è, inoltre, un modo di contribuire alle campagne ed iniziative di Italians for Darfur a favore delle vittime della guerra e della povertà in Darfur che non costa nulla: devolvere il 5 per mille della propria dichiarazione dei redditi alla nostra associazione.

Come fare

1. Compila la scheda CUD, il modello 730 o il modello Unico.

2. Firma nel riquadro indicato come “Sostegno del volontariato...”

3. Indica nel riquadro il codice fiscale di Italians for Darfur

97504520582

Anche chi non deve presentare la dichiarazione dei redditi può comunque richiedere la scheda al datore di lavoro o dell’ente erogatore della pensione e consegnarla (compilata e in busta chiusa) a un ufficio postale, a uno sportello bancario, che le ricevono gratuitamente, o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (CAF, commercialisti, etc.). Sulla busta occorre scrivere DESTINAZIONE CINQUE PER MILLE IRPEF e indicare cognome, nome e codice fiscale del contribuente.

Italians for Darfur riferirà dell'impiego dei fondi devoluti con il 5 per mille attraverso la sua newsletter e il sito internet www.italiansfordarfur.it.

Grazie per il vostro sostegno alle nostre iniziative.

Italians for Darfur
www.italiansfordarfur.it

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giovedì, aprile 09, 2009

Global Day for Darfur 2009


Iniziative diplomatiche per il Darfur

Gli Usa propongono il dialogo a Khartoum
ma solo se si permetterà alle Ong di tornare


ll Sudan Tribune oggi riprende a tutta pagina le dichiarazioni dell'inviato speciale Usa J. Scott Gration al termine dei colloqui a Khartoum con esponenti del governo.
L’esponente dell’amministrazione Obama ha avanzato la richiesta al governo sudanese - posta come un suggerimento e non come un’imposizione - di permettere ad alcune delle tredici organizzazioni non governative espulse dopo l’emissione del mandato da parte della Corte penale internazionale di arresto per il presidente Al Bashir, di rientrare in Darfur per riprendere l’assistenza degli sfollati rifugiati nei campi della regione. In alternativa, Gration ha proposto di sostituirle quelle cacciate con altre organizzazioni internazionali che abbiano sufficiente esperienza e siano ritenute affidabili dai donatori. Secondo il giornale Al-Hayat, che ha riportato alcune notizie sui colloqui riservati, se il Sudan accettasse la proposta di Washington, gli Usa riprenderebbero il dialogo con Khartoum interrotto con l’amministrazione Clinton e inaspritosi con l’era Bush.
Gli Stati Uniti fanno perno sull’interesse che potrebbe avere il governo sudanese a normalizzare i rapporti diplomatici, sospesi lo scorso giugno dalla precedente amministrazione, e a ottenere la sospensione delle sanzioni attualmente in corso nei confronti di molte aziende del Sudan.
L'inviato Usa ha definito la crisi umanitaria in Darfur una priorità per Washington. Ha poi ribadito la necessità di arrivare a un cessate il fuoco che consenta agli sfollati di poter tornare nei propri villaggi e l'applicazione dell'accordo di pace raggiunto dopo vent’anni di un sanguinoso conflitto nel 2005 tra nord e sud del Paese.

martedì, aprile 07, 2009

Il mandato di arresto per Bashir e la reazione della Comunità internazionale

di Stefano Cera
Pubblicato su medarabnews: http://www.medarabnews.com/2009/03/25/il-mandato-di-arresto-per-bashir-e-la-reazione-della-comunita-internazionale/
Il 4 marzo 2009, la Camera preliminare uno della Corte Penale Internazionale (CPI) ha accolto la richiesta del procuratore Luis Moreno-Ocampo di emettere un mandato di arresto nei confronti del presidente del Sudan al-Bashir (la prima nei confronti di un capo di stato in carica), riconoscendo sette dei dieci capi d’imputazione presentati dal procuratore (cinque per crimini contro l’umanità e due per crimini di guerra). Secondo le prove raccolte in oltre tre anni d’indagini le “forze e gli agenti” che agivano sotto il controllo di Bashir, hanno ucciso almeno trentacinque mila civili e causato la morte di un numero di persone calcolato tra 80.000 e 265.000, che sono state sradicate dalle loro case. Tuttavia, i tre giudici della Camera non hanno raggiunto un accordo sulle accuse di genocidio, riguardanti la volontà del Presidente di distruggere in modo sostanziale i gruppi africani Fur, Zaghawa e Masalit sulla base della loro etnia; i giudici hanno comunque affermato di poter riprendere in considerazione la questione in caso di nuovi elementi.
La risposta di Khartoum
La televisione di stato ha bollato come “neocolonialista” la decisione e nella capitale centinaia di persone sono scese in piazza in segno di protesta. Il governo ha espulso tredici organizzazioni non governative, accusandole di aver collaborato con la Corte. L’espulsione è stata criticata dal leader dello Justice and Equality Movement (JEM), Khalil Ibrahim, secondo cui viola apertamente quanto stabilito dall’accordo di pace sottoscritto con il governo a Doha il 17 febbraio scorso. Inoltre Bashir, in segno di sfida nei confronti della Corte, nei giorni scorsi ha fatto visita al presidente eritreo Issaias Afeworki e ha dichiarato di voler partecipare al summit annuale dei paesi arabi che si svolgerà a fine marzo in Qatar. A tal proposito giungono notizie contrastanti da Khartoum, poiché alcuni organi di stampa hanno affermato che Bashir non parteciperà all’incontro. La verità è che il presidente sta subendo forti pressioni (dei paesi arabi e all’interno del paese) affinché diserti il summit, legate all’eventuale imbarazzo che la sua presenza potrebbe creare al Qatar e agli altri paesi arabi, ma anche al timore che l’aereo del presidente possa essere intercettato da velivoli stranieri che lo costringano ad atterrare in uno stato firmatario dello Statuto della Corte, dove il mandato di arresto potrebbe poi essere reso esecutivo. I movimenti all’estero del presidente del Sudan pongono l’attenzione su un aspetto importante, che riguarda il comportamento degli stati non firmatari dello Statuto della CPI. Infatti, se per i paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma è previsto uno specifico obbligo di rendere esecutivo il mandato, non esistono invece vincoli particolari per i paesi non firmatari (come ad esempio l’Eritrea o il Qatar). Tuttavia, i funzionari della CPI hanno fatto presente che potrebbero comunque trasmettere a un paese non firmatario la richiesta di rendere esecutivo il mandato di arresto. Anche perché, così come dichiarato dalla portavoce della Corte dell’Aja, Laurence Blairon, se è vero che alcuni paesi non hanno firmato lo Statuto di Roma, è altrettanto vero che sono paesi membri ONU e, come tali, hanno l’obbligo di applicare quanto stabilito dalla risoluzione 1593/2005 del Consiglio di Sicurezza ONU che, nel trasferire all’attenzione della Corte la situazione del Darfur, chiede a tutti gli Stati di cooperare con essa. Tale opinione è tuttavia confutata da Antonio Cassese (che ha presieduto la Commissione ONU incaricata di investigare le violazioni dei diritti umani e l’accertamento dell’eventuale genocidio in Darfur), che evidenzia che la risoluzione 1593 non ha posto uno specifico obbligo per i paesi non firmatari, limitandosi a chiedere cooperazione a tutti i paesi. Infine, il governo di Khartoum ha iniziato una “offensiva” diplomatica, inviando delegazioni con alti funzionari dello stato (tra cui il secondo vice-presidente Taha, i consiglieri presidenziali Nafi Ali Nafi, Mustafa Ismail e Ghazi Suleiman, il Direttore dell’Intelligence Salah Gosh, e il ministro delle Finanze Awad Al-Jaz) presso i paesi del Consiglio di Sicurezza ONU (con l’unica eccezione degli Stati Uniti), per spiegare la posizione del Sudan e per cercare alleati contro il mandato di arresto.
Il confronto nella Comunità internazionale
Nella Comunità internazionale si fronteggiano due opposti schieramenti. Da una parte Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che difendono la richiesta di arresto, chiedendo che venga resa esecutiva; dall’altra Unione Africana (UA), Lega Araba, Movimento dei non allineati, Organizzazione della conferenza islamica, Consiglio per la Cooperazione nel Golfo e, all’interno del Consiglio di Sicurezza ONU, Cina e Russia, che esprimono invece una posizione contraria, rifiutando la richiesta e sottolineando la necessità di sospendere l’azione contro Bashir attraverso il ricorso all’art. 16 dello Statuto della Corte.Chi difende la sospensione considera il mandato di arresto un grave pericolo per il processo di pace che, come anticipato, nel febbraio scorso ha registrato un importante risultato con l’accordo di Doha (sottoscritto dal governo e dal JEM), che ha stabilito un preciso impegno delle parti in vista di un successivo accordo per la soluzione del conflitto nel Darfur. L’accordo, che ha avuto l’appoggio dell’UA, della Lega Araba e di alcuni importanti paesi arabi (Egitto, Libia, Siria e Arabia Saudita), sembra ora indebolito dalla recente decisione del leader JEM Ibrahim di sospendere la partecipazione al processo di pace fino a quando il Sudan non avrà ritirato l’ordine di espulsione dal paese delle organizzazioni non governative. Il mandato di arresto inoltre potrebbe portare a un “collasso” di tutto il Sudan, con nuovi pericoli per la popolazione civile del Darfur, la missione congiunta ONU/UA UNAMID, le attività delle ambasciate occidentali, quelle del personale delle ONG ancora presenti nel paese e la stessa implementazione del Comprehensive Peace Agreement del 2005, che ha messo fine a oltre venti anni di guerra civile tra Nord e Sud del paese. L’UA, allo scopo di operare una difficile riconciliazione tra l’esigenza di colpire quanti hanno commesso crimini nel Darfur e la sospensione dell’azione della Corte, ha promosso la costituzione di un panel di esperti africani, presieduto dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki. Tuttavia, la sua attività è ancora all’inizio e non è ancora chiaro se il panel (che presenterà un primo rapporto all’UA il prossimo mese di luglio) avrà il potere di compiere indagini per proprio conto, se affiancherà i giudici sudanesi incaricati di compiere le indagini, oppure si limiterà a monitorare le procedure giudiziarie locali.Chi è contrario alla sospensione la ritiene soprattutto un rischio perché costituirebbe un pericoloso precedente, in grado di indebolire la credibilità della Corte e della stessa ONU; infatti, stabilendo una presunta “negoziabilità dei diritti umani”, metterebbe in secondo piano le responsabilità di Bashir nei confronti delle persecuzioni dei civili, che anzi potrebbero continuare anche grazie al “clima” di impunità creatosi. Inoltre, è forte il timore che la sospensione finisca per annullare gli sforzi della Corte, secondo il principio “justice delayed, justice denied”. Al riguardo, Desmond Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, ha preso una posizione netta, affermando che “per quanto dolorosa e scomoda possa essere la giustizia, abbiamo già preso atto che l’alternativa – lasciare che ci si dimentichi di far sì che chi commette reati risponda del proprio comportamento – è di gran lunga peggiore” (la Repubblica, 5 marzo 2009). Infine, chi è contrario alla sospensione sottolinea che il mandato di arresto potrebbe costituire un efficace mezzo di pressione, in grado di provocare cambiamenti anche all’interno dello stesso regime, lacerato da tensioni interne. Tuttavia, per fare questo occorre che tutti gli stati diano il loro sostegno, forte e senza ambiguità, all’attività della CPI.
La posizione dei paesi arabi
La Lega Araba, in prima fila nell’impegno di sospendere l’azione della Corte dell’Aja, riconosce tuttavia che ci sono esigenze di giustizia che non possono essere trascurate; per questo, secondo il segretario Amr Moussa, la soluzione migliore è che sia lo stesso Sudan a garantire la condanna dei responsabili dei crimini commessi nel Darfur, attraverso un efficace sistema giudiziario interno. Il Sudan ha espresso una disponibilità di massima rispetto alla proposta. L’Egitto da parte sua ha proposto di svolgere una conferenza internazionale che riunisca i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) e tutti i paesi potenzialmente coinvolti, allo scopo di definire una visione comune sulla questione. La Conferenza dovrebbe raggiungere un importante obiettivo, ossia integrare, riconciliandole, le questioni politiche e giuridiche alla luce della decisione della CPI. L’idea, per la verità, è stata lanciata dalla Lega Araba fin dall’estate scorsa, dopo la presentazione delle accuse da parte del procuratore Moreno-Ocampo, ma è stata sempre rifiutata da Khartoum perché la conferenza significherebbe “internazionalizzare” la questione del Darfur. La diplomazia egiziana inoltre sta agendo nei confronti di Khartoum per annullare l’espulsione delle ONG, anche in questo caso incontrando la ferma opposizione del regime. Per alcuni alti funzionari del Cairo il Sudan rischia l’isolamento internazionale, in modo del tutto analogo a quanto fece Saddam Hussein prima della guerra del 2003. La Libia, la cui posizione è importante sia perché Gheddafi è di recente divenuto il Presidente dell’UA sia perché il paese è membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza ONU, ha minacciato (per la verità senza alcun seguito) il ritiro della ratifica dello Statuto della CPI da parte di tutti i paesi africani. L’Iran ha dato pieno appoggio a Bashir, come dimostrato dalla visita a Khartoum del portavoce del Parlamento di Teheran, Ali Larijani. Di grande interesse è anche la posizione dell’Arabia Saudita, sia perché potrebbe orientare quella di altri paesi arabi, sia per il più vasto quadro delle relazioni regionali in Medio Oriente. Il governo di Riyadh si è detto “disturbato” dalla richiesta di arresto, sebbene nei mesi precedenti abbia più volte rifiutato la richiesta di Khartoum di utilizzare la sua amicizia con Washington per favorire la sospensione dell’azione della Corte. Nei mesi scorsi, peraltro, l’Arabia Saudita è stata uno dei pochi paesi arabi ad aver ricevuto la visita del procuratore Moreno-Ocampo. Di conseguenza, pur criticando la richiesta di arresto, la posizione dell’Arabia Saudita nella vicenda è comunque di grande equilibrio e il suo interesse è evitare che un grande paese arabo come il Sudan possa entrare (dopo la Siria) nella sfera delle amicizie dell’Iran. Infine, un discorso a parte merita la Giordania, che ha assunto una posizione diversa rispetto agli altri paesi arabi. Infatti, non solo il paese è, insieme a Gibuti e alle Isole Comore, il solo fra quelli arabi ad aver firmato lo Statuto della Corte, ma, nei giorni scorsi, ha anche espresso un chiaro favore al mandato di arresto, affermando di voler agire in rispetto dei trattati e delle organizzazioni internazionali e chiedendo più volte al Sudan di presentare le prove per confutare la richiesta di arresto emessa dalla CPI.

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lunedì, aprile 06, 2009

Rapiti due operatori umanitari in Darfur

Un operatore umanitario di nazionalità francese e uno canadese dell’organizzazione Aide Medicale Internationale (Ami) sono stati sequestrati nella notte tra sabato e domenica nella regione occidentale del Darfur.

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sabato, aprile 04, 2009

Convegno della Fondazione del Corriere della Sera: lanciato un nuovo allarme da Italians for Darfur

Centinaia di migliaia di persone rimarranno senza alcun riferimento assistenziale, rischiando di morire per malattie o per fame. E la comunità internazionale non fa nulla di concreto per impedirlo.
E’ questo in sintesi il messaggio lanciato dalla nostra associazione nel corso del dibattito organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera che si è svolto giovedì 2 aprile a Milano.
Dopo aver ascoltato gli interventi del professore Fausto Pocar, presidente della Corte penale internazionale e di Ibrahim Anmed Ibrahim, presidente del Sudan Liberation Movement – Juba Unity, sono intervenuta per sottolineare che l’aspetto più drammatico del conflitto in Darfur è la crisi umanitaria che ne è conseguita. Ho sottolineato che da quando le organizzazioni non governative che gestivano l’attività di soccorso medico e di distribuzione del cibo, in alcune delle più grandi località del Darfur, tra cui Kalma, Al Fasher e Gereida, oltre 900 mila sfollati sono rimasti privi di assistenza sanitaria essenziale e di qualsiasi supporto alimentare. Inoltre in molti campi sono in corso emergenze epidemiche, come la meningite e la difterite scoppiate nell’area di Kalma e di Niertiti. Si tratta di malattie mortali e oltre centomila persone sono a rischio contagio. L'espulsione lascia inoltre migliaia di persone senza nessuna assistenza a Muhajariya, dove è stato chiuso l'unico ospedale presente nell’area, quello di Medici senza frontiere e nel West Darfur, a Feina - dove sono state chiuse le cliniche mobili che coprivano anche i villaggi nei dintorni della città. Sospesi anche i progetti umanitari a Golo e Killin nel Darfur occidentale, e a Kebkabiya, Kaguto, Serif Umra, Shangil Tobaya e Tawila nel Darfur settentrionale. Sono inoltre a rischio le attività assistenziali a Kebkabiya, tra El Geneina ed El Fasher, nord Darfur, dove è presente solo una postazione della Croce Rossa che, tra l’altro, nelle scorse settimane ha subito un assalto nel corso del quale sono state distrutte tutte le attrezzature.
Il pericolo di morte per la popolazione a cui sta per mancare ogni sostentamento vitale, sia dentro che fuori dei campi, è altissimo.
Gli sfollati di cui si occupavano Msf e le Ong che distribuiscono cibo come Care e Oxfam, entro maggio saranno totalmente senza sostegno nutrizionale. I più deboli, soprattutto i bambini denutriti, stanno già morendo.

Antonella Napoli
Presidente di Italians for Darfur

mercoledì, aprile 01, 2009

Bashir riceve il sostegno e gli applausi della Lega Araba, Gheddafi e Chavez

Dopo Eritrea, Libia ed Egitto, il presidente sudanese è volato domenica scorsa a Doha per il summit dei Paesi arabi. Il presidente Omar al Bashir, su cui spicca un mandato d'arresto internazionale per crimini contro l'umanità, si è trovato quindi faccia a faccia con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon.
Osannato dagli astanti, dopo aver accusato la Corte Penale Internazionaledi perseguire l'ennesimo piano per attaccare il mondo arabo e di voler distogliere lo sguardo dai veri criminali, ha ricevuto anche l'invito a presentarsi in Venezuela, ospite di Chavez, anch'egli presente al summit in Qatar.

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