Il blog di Italians for Darfur

mercoledì, settembre 30, 2009

Peacekeeper ucciso a El Geneina

La guerra in Darfur 'è finita'... ma si continua a morire


Un peacekeeper della missione di pace congiunta dell'Unione africana e delle Nazioni Unite in Darfur è stato ucciso lunedì scorso in un'imboscata nella provincia sudanese. Lo ha riferito ieri, attraverso una nota ufficiale, Kemal Saiki capo della comunicazione dell'Unamid. Nell'attacco sono rimasti feriti altri due soldati e un poliziotto del contingente Onu. Il militare ucciso viaggiava su un fuoristrada di scorta aun minibus con a bordo due funzionari della missione di pacediretto a El-Geneina, quando e' stato attaccato da otto uominiarmati. Sale così a 17 il numero di peacekeeper uccisidall'inizio della missione Unamid, nel gennaio 2008. Come ho già scritto in altre occasioni, se questi sono i presupposti per affermare che in Darfur la 'guerra è finita' e che, oramai, si possa parlare solo ‘di problemi di sicurezza’, come ha affermato Martin Luther Agwai, comandante uscente del contingente Unamid, beh... credo che qualcuno abbia metri di misura quantomeno imprecisi.

sabato, settembre 26, 2009

Abdelmageed Salih, attivista darfuriano, in carcere per aver denunciato stupri

Uno dei fondatori del Darfur Democratic Forum, Abdelmageed Salih Abbaker, attivista del Darfur per i diritti umani, è stato arrestato il 27 agosto e da allora non se ne hanno piu notizie.
Sarebbe stata la recente campagna condotta dall'attivista su alcuni casi di stupro di ragazze del Darfur a Khartoum, agli inizi del 2009, a indurre la SSF (Sudanese Security Forces) a segregare Abdelmageed nel braccio politico della prigione di Kobar. E' possibile chiederne il rilascio al seguente n° di fax:
Omar Hassan al-Bashir
President of Sudan
Office of the President
People's Palace
PO Box 281
Khartoum
SUDAN
Fax: +00249-183 782 541

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mercoledì, settembre 23, 2009

Esplodono le violenze Interetniche in Sud Sudan

Oltre 100 civili uccisi, circa 2000 case bruciate: questo il bilancio degli ultimi attacchi interetnici in Sud Sudan. Tre giorni fa è stato colpito il villaggio di Duk Padiet nel Jonglei.

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martedì, settembre 22, 2009

Luce alla fine del tunnel in Darfur?

di Stefano Cera, in Affari Internazionali - http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1249

Prima di lasciare il loro incarico ai vertici, rispettivamente civile e militare, dell’Unamid (la missione ibrida Onu-Unione africana in Darfur), Rodolphe Adada e Martin Luther Agwai hanno sollevato, alla fine del mese di agosto, un interessante interrogativo: la guerra in Darfur può considerarsi conclusa? Dai primi mesi di quest’anno è certamente diminuito il numero di azioni condotte su larga scala nella regione da parte dell’esercito sudanese, così come il numero di decessi mensili (secondo i dati Onu, dai 200 del solo gennaio 2005 si è scesi a 150 del periodo gennaio 2008 - aprile 2009). Per questo il conflitto nella regione occidentale del Sudan non costituisce più un’emergenza ed ha assunto il carattere di ‘conflitto a bassa intensità’, sicuramente più accettabile dall’opinione pubblica mondiale.

Il Sudan meridionale va a rotoli
Secondo autorevoli esponenti della comunità internazionale la situazione del Darfur è ormai decisamente migliore rispetto a quella del Sudan meridionale; Lise Grande, coordinatrice umanitaria Onu per il Sudan mette in evidenza che mentre nella regione occidentale del Sudan “l’attenzione e la solidarietà internazionale stanno facendo la differenza”, nel Sud “si sta invece passando da una situazione disastrosa a una vera catastrofe” (Internazionale, n. 809, p. 38). Infatti, la situazione di transizione del Darfur rende il quadro tendenzialmente migliore rispetto a quello della zona meridionale del paese, dove da diverso tempo sono riprese le tensioni legate ai timori che Khartoum voglia impedire il referendum per l’indipendenza, previsto per il 2011. Ciò autorizza a pensare a un clima diverso, propizio a nuove e più convinte iniziative di pace. Purtroppo, però, la giustizia e l'ordine sociale sono ancora ben lungi dall’essere ristabiliti e proseguono gli episodi di banditismo e di violenza nei confronti degli sfollati e ai danni dello stesso personale civile e militare della missione Unamid.

Dalle insidiose iniziative di pace della Libia…
In questo clima si inseriscono le recenti iniziative della Libia e degli Stati Uniti per dare nuovo slancio unitario ai movimenti di opposizione del Darfur. Il 31 agosto scorso il governo libico ha annunciato la nascita del Sudan's Liberation Revolutionary Forces (Slrf), in seguito alla riunificazione di sei gruppi. Il paese del colonnello Gheddafi è legato a doppio filo alle vicende della regione, a partire dalle origini del conflitto: il Darfur è stato infatti utilizzato come retrovia durante la guerra con il Chad nella seconda metà degli anni ’70 e il leader libico ha avuto un ruolo di primo piano nel supporto all’Arab Gathering, il cui fine era la presa del potere nell’area centrale sub-sahariana e nell’Africa occidentale.Ma la Libia è stata anche coinvolta nelle diverse iniziative legate al processo di pace, di cui l’ultima due anni fa, quando il tentativo di favorire la riunificazione delle forze ribelli è fallito in seguito alla mancata partecipazione di alcuni fra i più importanti fra loro. Inoltre, Gheddafi è fra i maggiori sostenitori del presidente Bashir; è stato uno dei primi ad ospitarlo all’indomani della richiesta di arresto da parte della Corte penale internazionale (Cpi) e, nelle vesti di presidente dell’Unione Africana (UA), nel recente mese di luglio ha promosso la dichiarazione di non cooperazione con la richiesta di arresto della Corte, gettando gravi ombre sull’azione dell’organizzazione e sull’efficacia della pronuncia della Cpi. Infine, nei giorni scorsi, il presidente dell’UA (nel corso del summit africano sul tema della risoluzione dei conflitti nel continente) ha accusato Israele di dare supporto alle forze ribelli, facendo proprie le argomentazioni delle autorità sudanesi.

… a quelle degli Stati Uniti
L’inviato speciale Usa, Scott Gration, sta concentrando la propria attenzione su tre gruppi, URF, SLM-Juba di Ahmed Abdel Shafi e SLM-Unity di Abdalla Yahya. Anche gli Usa hanno avuto un ruolo importante nel Darfur (nel 2004 l’allora segretario di stato Colin Powell è stato il primo a parlare di “genocidio”) e l’iniziativa del nuovo inviato speciale Gration indica l’intenzione di Washington di partecipare più attivamente alla ripresa del dialogo sia fra le forze ribelli che tra queste e Khartoum. Tuttavia ad alcuni il suo operato non piace: alcune fazioni locali lo hanno paragonato a un ministro degli esteri sudanese, mentre alcuni attivisti americani gli rimproverano di distogliere l’attenzione dai gravi crimini contro l'umanità perpetrati ai danni della popolazione per ottenere dal Sudan un compromesso per la stabilità nella regione.

Successi e debolezze della presenza internazionale
Alla fine di luglio si sono celebrati i due anni dall’inizio della missione Unamid, considerata da molti un fallimento a causa soprattutto dell’ostruzionismo del governo sudanese, del mancato adempimento degli impegni da parte della comunità internazionale e della cronica mancanza di risorse (tra cui la ormai tristemente “famosa”mancanza di 18 elicotteri da trasporto, ritenuta necessaria per rendere efficace l’azione di peacekeeping in un territorio grande come la Francia). A tal fine, il Dipartimento della Difesa americano sta valutando la possibilità di inviare “consiglieri” per dare supporto alla missione per le questioni logistiche, mentre l’inviato speciale Gration ha dichiarato che, per garantire un cessate il fuoco duraturo tra le parti , è necessaria la presenza sul territorio di una forza di intelligence in grado di effettuare un continuo monitoraggio del processo di pace. Nonostante le indubbie difficoltà, la missione è spesso riuscita a fare la differenza; il rifiuto di abbandonare Muhajeria (come invece richiesto dal governo sudanese) nel mese di febbraio ha impedito un attacco su larga scala e dopo l’espulsione di 13 Ong avvenuta a marzo, l’Unamid è intervenuta per colmare le lacune nel programma di protezione e ristabilire così un efficace accesso umanitario. Sul piano diplomatico invece il mediatore congiunto Djibril Bassolè ha annunciato per la fine del mese di ottobre lo svolgimento del prossimo round negoziale tra il governo e i movimenti di opposizione, preceduto da due workshop: il primo che riunirà a Doha tutte le forze ribelli, finalizzato alla discussione di tutti gli aspetti legati al processo di pace, comprese le iniziative per garantire una più efficace sicurezza della popolazione e lo sviluppo socio-economico; il secondo, il forum della società civile, che si svolgerà in parallelo rispetto all’incontro di Doha e permetterà a tutte le comunità della regione di dare il proprio contributo alla pace, alla riconciliazione e alla promozione dello sviluppo nella regione. In conclusione, anche se molti dei problemi che affliggono in Darfur restano ancora non risolti, la speranza è che, con il maggior sostegno da parte dell’amministrazione Obama, le diverse tessere che compongono il mosaico del processo di pace possano finalmente integrarsi per arrivare alla definizione di una pace durevole.

Stefano Cera è il Responsabile della Formazione dell’Associazione “Italians for Darfur”; autore del volume “Le sfide della diplomazia internazionale – Il conflitto nel Darfur – L’escalation della questione cecena: i sequestri di ostaggi del teatro Dubrovka e della scuola di Beslan”.

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lunedì, settembre 21, 2009

Nasce il coordinamento internazionale dei darfuri per la risoluzione della crisi in Darfur: no all’ingerenza straniera.

di Mauro Annarumma

A fronte degli insuccessi della politica internazionale, i rappresentanti delle comunità di rifugiati del Darfur nel mondo si riuniscono ad Addis Ababa per trovare una exit strategy al conflitto in corso. La forte presenza della stampa filogovernativa sudanese, però, getta ombre sulle finalità dell’operazione.

Il conflitto in Darfur dura ormai da quasi sette anni.
Una crisi profonda, politica e militare, ma soprattutto una immane tragedia umanitaria, che ha coinvolto oltre tre milioni di persone, tra rifugiati, morti e sfollati, alla quale sembra
non si riesca a trovare una via di uscita
Nonostante l’impegno profuso in questi anni da parte della comunità internazionale e, in particolare, degli attivisti e delle ONG della Save Darfur Coalition, della cui coalizione fa parte anche l’associazione italiana per i diritti umani Italians for Darfur ONLUS, i tentativi di pacificare l’area si risolvono spesso in sterili comunicati delle Nazioni Unite, mentre le diplomazie si affannano nella speranza di portare a termine difficili trattative e colloqui di pace.
La missione ibrida delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, che avrebbe rappresentato un efficace cuscinetto tra la popolazione e le milizie armate, con oltre 30.000 unità previste tra peacekeepers e poliziotti, è ben lungi dall’essere operativa, insufficiente sia in termini di uomini, circa la metà di quelli pianificati, sia di mezzi di trasporto.
Dilaniato dagli interessi di interni ed esterni al Paese, il Darfur rischia quindi una lenta agonia.
L’8 settembre, ad Addis Ababa, Suliman Ahmed Hamed e altri nove tra rappresentanti dei rifugiati del Darfur ed ex combattenti ribelli, giunti da tutto il mondo, hann
o presentato alla stampa il National Group for Correcting the Track of Darfur Crisis, una nuova organizzazione di rifugiati e profughi del Darfur che chiedono il rispetto dei diritti del loro popolo, senza l’uso delle armi, ma attraverso lo sviluppo, la trattativa e l’istruzione
Nel comunicato, saltano all’occhio alcune dichiarazioni di denuncia dell’ingerenza straniera nella crisi in Darfur, che sarebbe finalizzata al perseguimento di propri interessi nazionali, divenendo essi stessi ostacolo alla pace nella regione.Tale passaggio è stato ripreso e sottolineato dalla stampa sudanese, stranamente numerosa in sala, che ne ha colto una chiusura verso la comunità internazionale, la quale avrebbe esagerato la portata del conflitto in Darfur e ne avrebbe manipolato le sorti per coltivare propri interessi e per dividere il Sudan come l’Iraq e la Jugoslavia.
Parole forti, registrate dall’agenzia di stampa ufficiale del Sudan, la SUNA, e dal Sudanese Media Center (SMC), il cui sito si ritiene sia gestito dai servizi di intelligence governativi, la National Intelligence and Security Services (NISS). Gli esponenti della nuova piattaforma affermano che ribelli, traduttori e mediatori hanno da sempre esagerato le cifre delle morti e delle vittime di violenze dei janjaweed e delle forze militari governative.
A sei anni dall’inizio della crisi, fonti ONU hanno fissato a 400.000 le morti in Darfur, mentre il governo sudanese parla di massimo 10.000 civili uccisi nel corso del conflitto.
Una guerra, che nelle ultime settimane, il governo sudanese sembra voglia combattere anche sui media.

nelle foto, alcuni momenti del meeting fondativo ad Addis Ababa

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domenica, settembre 20, 2009

L'esercito di Khartoum sferra pesanti attacchi ai ribelli nel Nord Darfur

E' passato poco piu di un mese da quando il comandante uscente dell'UNAMID aveva posto la parola fine alla guerra in Darfur.Giovedì scorso, invece, l'esercito sudanese ha attaccato a piu riprese le postazioni ribelli del Sudan Liberation Movement di al-Nur, presso Korma, 70 km da El-Fasher, Nord Darfur.
Gli attacchi di questa settimana seguono i pesanti bombardamenti delle prime settimane di settembre, nel Jebel Marra.
Si teme un ulteriore peggioramento delle già gravi condizioni umanitarie nella regione.

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domenica, settembre 13, 2009

Aprile 2010: si avvicinano le elezioni democratiche in Sudan, riesplodono le violenze interetniche in Sud Sudan.

Abbiamo piu volte rimarcato, nel corso della nostra campagna per i diritti umani in Darfur, come alla base del conflitto in Darfur, che dal 2003 ha causato la morte di circa 400.000 persone e la fuga di 2 milioni e mezzo di civili (stime ONU), ci sia anche e soprattutto una gestione oligarchica della politica e delle risorse economiche del Paese.
La minoranza araba al potere, in un Paese in cui si sommano e si fondono etnie e tradizioni diverse, detiene il controllo delle risorse del Paese, uno dei primi produttori di cereali al mondo, ma anche uno dei primi Paesi in cui l'assistenza del PAM è fondamentale per la sopravvivenza della popolazione del Darfur e del Sud Sudan, e tra i Paesi piu ricchi di greggio, venduto anche in Italia.
Come coraggiosamente e sistematicamente denunciato nel Black Book, la rappresentanza anche solo politica delle periferie del Sudan, rispetto a Khartoum, è nulla o palesemente insufficiente.
Tale quadro non poteva che avere ripercussioni sulla stabilità di tutto il Sudan, già colpito da numerosi golpe e residuati del post-colonialismo inglese: in tutto il Sudan, dal Nord Kordofan al Sud Sudan e nel ovest del Paese, in Darfur, si parla la lingua della violenza e delle armi.
Inutili, fino ad oggi, i tentativi di riportare pace e stabilità.
Riesplode proprio in queste ultime settimane la violenza sia in Darfur sia in Sud Sudan.
Addirittura, gli scontri etnici e tribali infiammano ora la popolazione cristiano-animista del Sud Sudan superando per gravità quelli degli ultimi mesi in Darfur: oltre 2000 persone sono morte e 250.000 sono i profughi che da gennaio fuggono nel panico (fonti ONU).
I primi di settembre, circa 50 persone armate, in uniforme, hanno attaccato il villaggio di Pigwrithiang della tribu DINKA, causando un vero e proprio "massacro" (fonte: AP).
Jonathan Whittall, direttore di Medici senza Frontiere in Sud Sudan, ha denunciato l'intenzionalità degli ultimi attacchi a donne e bambini, contrariamente a quanto è avvenuto fino ad oggi. La popolazione vive nel panico, continua Whittall.
Le prime elezioni democratiche del Sudan si avvicinano.

M.A.




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giovedì, settembre 10, 2009

Scontri a fuoco nel Jebel Marra, Nord Darfur: migliaia i civili in fuga

Il Jebel Marra è un'estesa area del Darfur, che prende il nome da un imponente massiccio montuoso alto oltre 3000 m, da sei anni sotto il controllo dei ribelli del Sudan Liberation Movememt (SLM) di Abdel Wahid el-Nur, leader dello storico movimento armato del Darfur.
Secondo quanto appreso da dichiarazioni degli stessi ribelli riportate dal Sudan Tribune, l'esercito sudanese, lunedì scorso, avrebbe attaccato le postazioni nel nord dell'area, in particolare Korma e Ain Siro, uccidendo 11 ribelli e causando la fuga di sei mila civili, sopratutto donne e bambini.

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martedì, settembre 08, 2009

Prossimo round negoziale alla fine di ottobre

di Stefano Cera

Il mediatore congiunto Djibril Bassole ha annunciato che alla fine di ottobre si svolgerà il prossimo round negoziale tra il governo e i movimenti di opposizione. Le trattative saranno precedute da due workshop: il primo, all’inizio di ottobre, che riunirà a Doha tutte le forze ribelli per la discussione di tutti gli aspetti legati al processo di pace, comprese le iniziative per garantire una più efficace sicurezza della popolazione e lo sviluppo socio-economico; il secondo, il forum della società civile, che si svolgerà in parallelo, che permetterà a tutte le comunità della regione di dare il proprio contributo alla pace, alla riconciliazione e alla promozione dello sviluppo sostenibile in Darfur.
Al momento i movimenti di opposizione appaiono divisi in quattro componenti principali: il JEM di Khalil Ibrahim, la fazione del SLM di Abdel Wahid, il Sudan's Liberation revolutionary Forces (SLRF, nato recentemente sotto il patrocinio della Libia) e la coalizione di forze coinvolto nel processo di riunificazione sponsorizzato dall'inviato speciale USA, Scott Gration.

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lunedì, settembre 07, 2009

Il diritto che non c'è e la storia di Lubna

di Antonella Napoli*

L'Ua vuole tribunali locali per la giustizia in Sudan,
Paese che arresta le donne che portano i pantaloni

Nei giorni scorsi leggevo sul Sudan Tribune di una proposta per 'risolvere' la crisi del Darfur: una commissione per accertare la verità e favorire la riconciliazione sociale, come avvenne a suo tempo in Sudafrica, e l'istituzione di tribunali speciali che processino i presunti autori di crimini di guerra perpetrati nei sei e più anni di conflitto nella regione sudanese.
Volendo leggere 'positivamente' le intenzioni del comitato guidato dall'ex presidente sudafricano Mbeki, nato in seno all'Unione Africana con l'intento di porre fine all'instabilità nell'area. ci si scontra con la volontà manifestata di esautorare il Tribunale penale internazionale, mal visto da gran parte dei paesi africani, dall'inchiesta che ha portato all'incriminazione del presidente del Sudan Omar Al Bashir.
L'Ua vorrebbe 'affidare' la giustizia a una gestione locale affinchc si arrivi a un compromesso tra il processare gli esponenti del governo sudanese all'Aia e garantire loro immunità o un giudizio poco credibile. Ma i ribelli del Jem (il Movimento per la Giustizia e l'Uguaglianza che continua a combattere contro il regime di Kharyoum), ha già fatto sapere chiaramente che si opporranno "a qualsiasi tentativo di istituire corti o sedi di processi nel modo descritto dal Sudan Tribune perché sarebbe solo una via d'uscita per Bashir". Insomma il Jem, come gran parte degli osservatori internazionali e dei cooperanti, continua a ritenere la Corte Penale Internazionale l'unico organo 'lecito' a occuparsi del Darfur.
E come non essere d'accordo quando in Sudan e in molti altri stati aderenti all'Ua si viòla quotidianamente ogni basilare diritto umano! Basti pensare alla vicenda di Lubna, Ahmed Hussein, giornalista sudanese ed ex impiegata dell'Onu, arrestata in patria il 3 luglio scorso perché indossava i pantaloni.
L'articolo 152 del codice penale sudanese giudica ''indecente'' che le donne portino i pantaloni, ha raccontato la giovane in un'intervista a Repubblica pubblicata oggi.
''La condanna consiste in 40 frustate o nel pagamento di una multa o entrambe''. ''Dal 1991 a oggi - ha ricordato Lubn che si è licenziata dall'Onu per rinunciare all'immunità - almeno 20 mila donne sono state arrestate in base a questa legge, ma nessuna di loro ne parla e nessuno lo sa''. Per questo non ha paura di essere frustata ed è pronta a subire anche più di quaranta frustate, purché tutti sappiano cosa succede a Khartoum. E noi amplifichiamo, e sempre lo faremo, la sua e tutte le voci che denunciano i soprusi subiti.

* presidente di Italians for Darfur

sabato, settembre 05, 2009

Janjaweed: i "diavoli a cavallo" a ElGeneina, Darfur (2006/2007)

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giovedì, settembre 03, 2009

Si susseguono i tentativi di unificare il fronte ribelle in vista di future trattative di pace in Darfur

Tripoli e Washington si sfidano a distanza sul terreno della diplomazia in Darfur.
Da alcune settimane lo staff del Presidente libico Gheddafi e l'inviato speciale statunitense Scott Gration lanciano segnali incoraggianti in merito ai rispettivi tentativi di unificare il variopinto panorama dei movimenti ribelli in Darfur, in vista di future trattative tra le parti coinvolte nel conflitto in Darfur.
Lunedì scorso, il Governo libico ha annunciato che sei gruppi ribelli intendono unificarsi in un unico nuovo movimento chiamato "Sudan's Liberation Revolutionary Forces" (SLRF), così composto: Sudan Liberation Movement/Army SLM/A-Field Leadership, SLM/A-Unity Leadership, SLM/A-Juba of Mohamed Saleh Harba, SLM/A General Line, United Revolutionary Forces Front (URFF) e SLM/A Khamis Abakar.
Contemporaneamente, ad Addis Ababa, lo sforzo statunitense si concentra su tre gruppi:
URF, SLM-Juba di Ahmed Abdel Shafi e SLM-Unity of Abdalla Yahiya.
Non sembrano invece essere coinvolti, in entrambi i processi di unificazione, i due più importanti movimenti armati del Darfur, il JEM e lo SLM di al-Nur che chiedono prima più sicurezza per i civili e il disarmo dei janjaweed.
Secondo il portavoce londinese di Abdul Wahid al-Nur, Yahia Bashir Bolad, i gruppi menzionati non sono rappresentati sul territorio, e i vari tentativi diplomatici che si susseguono sarebbero fallimentari e destinati a sminuire le leadership storiche, favorendo quindi il governo di Khartoum.
Allo stato attuale, quindi, sono cinque i gruppi ribelli più grandi:
lo Justice and Equality Movement di Khalil Ibrahim, lo SLM di Abdel-Wahid Al-Nur, lo SLRF e, plausibilmente, il gruppo che si riunificherà ad Addis Ababa.

Fonti:

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martedì, settembre 01, 2009

Editoriale su Articolo 21

I voltafaccia dell’Onu e la crisi del Darfur


In Darfur la guerra è finita. Almeno così afferma Martin Luther Agwai, comandante uscente del contingente Unamid. Perché, allora, continuano a susseguirsi notizie di bombardamenti (l’ultima incursione qualche settimana fa nei dintorni di Jebel Moon, città controllata dal Jem, nel West Darfur) e di attacchi mortali che coinvolgono i gruppi di ribelli ma anche la popolazione civile?Diciamo che se la guerra - ovvero l’azione militare (a cui probabilmente si riferisce Agwai) che vede contrapposte fazioni in conflitto nella regione sudanese - è finita, non si può certo parlare di pace. Se è vero che recentemente non sono stati registrati veri e propri combattimenti, il ristabilimento della giustizia e dell'ordine sociale nell’area è ben lontano. Lo stesso comandante della forza di peacekeeping in Darfur ha ricordato il proliferare di feroci episodi di banditismo e di violenza nei confronti degli sfollati, che cercano rifugio nei campi profughi, e degli operatori delle organizzazioni non governative ancora presenti nella regione (basti pensare alle due volontarie di Goal, una ong irlandese, rapite il 3 luglio a Kutum e ai due peacekeepers della missione Onu – Ua prelevati dalle loro abitazioni a Zaligeri ancora nelle mani dei sequestratori).E la crisi umanitaria? Beh, non arretra anzi la situazione peggiora giorno dopo giorno. I dati sono inconfutabili: il World Food Program lancia continui appelli per chiedere fondi che coprano i deficit alimentari in vaste zone del Sudan e i bollettini della programmazione umanitaria delle Nazioni Unite parlano ancora di ‘risposta a breve termine’ nelle aree che erano coperte dalle 13 ong cacciate dal Darfur dopo l’incriminazione del presidente Omar Al Bashir.Le carenze alimentari e sanitarie, per non parlare della sicurezza dei circa 3 milioni di sfollati ammassati nei campi allestiti in tutta la regione e lungo il confine con il Chad e la Repubblica Centrale Africana, si sono acuite e gli sforzi di Ocha, il Coordinamento degli aiuti internazionali, non sono ancora riusciti a supplire adeguatamente all’operato delle organizzazioni espulse. Eppure il Darfur sembra non essere più un’emergenza anche perché il vicino Sud Sudan (dove è in atto dopo una guerra ultra ventennale un processo di pace alquanto instabile), in vista del referendum che dovrebbe portare all’indipendenza dello Stato, è una polveriera pronta ad esplodere. La crisi in atto dal febbraio del 2003 in Darfur, e che secondo stime Onu ha causato 300mila vittime, non è più argomento ‘all’ordine del giorno’ nell’agenda dei potenti della terra – se mai lo è stato - a cominciare dall’amministrazione americana sulla quale si erano riposte grandi aspettative. Le stesse Nazioni Unite, che poco meno di un mese fa presentavano un rapporto dell’inviato speciale dell' ONU per i diritti umani in Sudan, da cui emergeva che le violenze e le uccisioni su larga scala nel Paese, dal Sud Sudan al Darfur, non si erano arrestate (‘nel periodo da agosto 2008 ai primi di giugno di quest'anno, numerosi bombardamenti hanno colpito la regione del Darfur, come i centri di Umm Sauunna, 24 km a ovest di Haskanita, e Shawa, a sud di El Fasher, spesso in maniera indiscriminata, senza alcuna distinzione tra postazioni ribelli, dimore private e strutture di accoglienza’ dal blog Italians for Darfur), oggi ridimensionano la situazione affermando che “si tratta per lo più di problemi di sicurezza”.Ma se a terrorizzare milioni di persone e a creare difficoltà a una missione congiunta Onu – Ua che, almeno su carta, conta 26mila caschi blu, è solo qualche gruppo di banditi, perché il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sta valutando l'invio di consiglieri “per aiutare l’Unamid su questioni logistiche” (fonte Sudan Tribune)?
Alla fine di luglio l'inviato speciale del presidente Obama, Scott Gration, aveva riferito che per garantire una duratura interruzione delle ostilità tra le parti era necessaria la presenza sul territorio di una forza di intelligence specializzata e con capacità di monitorare e controllare il processo di pace nella regione.L’Unamid deve affrontare una carenza di lunga data delle capacità aeree: la comunità internazionale si è dimostrata riluttante a fornire gli elicotteri essenziali per garantire la riuscita della missione. Per denunciare lo stato delle cose un gruppo di associazioni e organizzazioni internazionali (tra cui Italians for Darfur) hanno presentato un documento che evidenzia, a due anni dall'approvazione della Risoluzione 1769 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dava il via alla Forza ibrida dell' Unione Africana e dell’Onu in Darfur, i limiti e gli interventi necessari e improrogabili per assicurare una efficace protezione dei civili coinvolti nel conflitto.“Il contingente di peacekeepers – si legge nel rapporto - sebbene sia riuscito in alcuni casi a migliorare le condizioni di sicurezza in ristrette aree della regione, paga il costante ostruzionismo del governo sudanese e la negligenza e irresponsabilità della comunità internazionale, che non riesce a fornire le basilari risorse logistiche fondamentali in un'area grande quanto la Francia”. Se ciò non bastasse nei giorni scorsi i leaders del Justice and Equality Movement hanno annunciato che l'esercito sudanese si prepara a scagliare un nuovo attacco nel nord del Darfur. Il portavoce del Jem, Ahmed Hussein Adam, ha affermato che un contingente militare composto dal Sudan Liberation Army di Minni Minawi e da forze di opposizione fuoriuscite dal Ciad, si sta muovendo verso le loro postazioni in chiaro assetto di guerra.Per chiudere, nel filo della tradizione del regime di Khartoum, le autorità sudanesi il 21 agosto hanno arrestato ventisette abitanti di un campo nel Darfur settentrionale che avevano manifestato il loro dissenso ai contenuti dell’accordo di pace del 2006, sottoscritto ad Abuja solo da una fazione dei ribelli. Un leader del campo di Abu Shouk, nei pressi della capitale del Nord Darfur, El-Fasher, ha riferito al Sudan Tribune che Hussein Ishaq Sajo, il capo anziano della comunità, è tra le persone arrestate. La fonte che ha chiesto l'anonimato ha denunciato che il governo cerca di intimidire così gli sfollati e di scoraggiare qualsiasi opposizione al regime.Se questi sono i presupposti per affermare che in Darfur, oramai, si possa parlare solo ‘di problemi di sicurezza’, la strada per dichiarare che la pace sia stata raggiunta è ancora molto lunga.

Antonella Napoli.
Presidente di Italians for Darfur

Pubblicato martedì 1° settembre 2009 sul quotidiano on line Articolo 21