Il blog di Italians for Darfur

sabato, ottobre 31, 2009

Nuovi scontri, almeno 50 morti in Darfur

Nuovi scontri, nelle ultime ore, hanno causato la morte di decine e decine di persone nel Nord Darfur. Un nuovo massacro di donne e bambini si è consumato sotto lo sguardo inerme dei peacekeeper dispiegati nella regione sudanese per proteggere la popolazione. Le vittime sarebbero almeno una cinquantina. Sembra che si sia riaccesa la tensione interetnica tra le tribù dei Burgud e Zaghawa che si sono scontrati senza esclusione di colpi e coinvolgendo anche persone inermi. La notizia è stata annunciata oggi dal portavoce della forza mista di pace (Unamid). Questo a conferma che la guerra e gli scontri fra frazioni contrapposte in Darfur non sono finiti...

mercoledì, ottobre 28, 2009

Si riaccende la lotta per l'accesso all'acqua in Darfur

Fonti ufficiali dell'UNAMID, la missione delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana in Darfur, riconducono gli ultimi scontri tribali nel Nord Darfur alla lotta per l'accesso alle fonti d'acqua .

Almeno 10 persone della tribù Birgid sono state uccise nella giornata di eri con alcuni uomini della comunità Zaghawa nei pressi di Shangil Tobaya, a circa 70 Km da El Fasher.




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martedì, ottobre 27, 2009

Palazzo Madama ospita il Darfur, per non dimenticare

Presentata una mostra patrocinata dalla Commissione per i Diritti Umani del Senato

Una mostra per non dimenticare il Darfur, è quanto si propone la Commissione per i diritti umani del Senato, presieduta dal senatore Pietro Marcenaro, che patrocina l’iniziativa promossa
dall’associazione Italians for Darfur Onlus.
La mostra, presentata a Palazzo Madama il 26 ottobre, sarà aperta al pubblico dal 10 novembre fino al 10 dicembre 2009.
Nel corso della conferenza è stata illustrata una mozione, che sarà presentata nell’ambito del rifinanziamento delle missioni italiane all’estero, attraverso cui si chiederà un nuovo intervento del Governo italiano a sostegno della missione di pace dispiegata nella regione sudanese.
Sono intervenuti, oltre al presidente della Commissione, il senatore Marcenaro che ha illustrato la mozione, la testimonial della campagna per il Darfur, Monica Guerritore, Esam Elhag, rappresentante dei rifugiati del Darfur e portavoce dell’Slm Juba Unity, movimento per la liberazione del Darfur e la presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli – giornalista e autrice del libro “Volti e colori del Darfur”, Ed. Goree - rientrata da pochi giorni da una missione in Sudan, che ha illustrato la situazione della crisi umanitaria in corso in Darfur dal 2003.
"Nel mio recente viaggio in Darfur - ha ricordato la Napoli, che è anche autrice delle foto della mostra - pur non trovando una situazione alimentare al tracollo ho potuto constatare gravi carenze. Se è vero che nonostante l'espulsione di 13 ong che garantivano la distribuzione del cibo e l’assistenza sanitaria a oltre un milione di profughi il sistema del Programma alimentare mondiale abbia retto, la crisi è ancora pressante, incancrenita nella sua mancata soluzione. Per di più l'area continua a non essere sicura. In particolare sono venuti meno progetti di educazione sanitaria e di igiene, sostegno psicologico a donne e bambini traumatizzati e, sotto l'aspetto del sostentamento primario, manca l'acqua. Ed è proprio questa, con l’esigenza di maggiore protezione, la richiesta più prestante. Non a caso i capi tribali di Zam Zam camp smentiscono quanto sostenuto dagli esponenti del governo del Sudan che hanno annunciato il rientro di molti profughi nei propri villaggi".
"Nessuno - ha ribadito il presidente di Italians for Darfur - potrà mai tornare nella propria casa se prima non saranno garantite le minime condizioni di sicurezza. Basta parlare con i cooperanti presenti nella provincia di Al Fasher per comprendere che i timori di nuovi attacchi e violenze siano più forti che mai. Nonostante il contingente di Caschi Blu schierato (non del tutto ma solo al 75% dei 26mila uomini previsti) per proteggere la popolazione darfuriana, e chi in questa arida regione del Sudan è arrivato per portare aiuto, contninuano a suseguirsi attacchi ai villaggi, rapimenti e violenze".

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venerdì, ottobre 23, 2009

Missione in Darfur 2009


Reportage da un inferno già visto,
che si vuole mascherare da purgatorio


Tante volte dalle pagine di questo blog vi abbiamo parlato di Darfur, dei soprusi subiti da una popolazione vittima di un sanguinoso conflitto iniziato nel 2003: un conflitto e una crisi umanitaria troppo spesso dimenticate.
Italians for Darfur che nel 2006 ha lanciato una campagna e una raccolta di firme affinché si accendessero i riflettori sugli orrori di questa guerra coinvolgendo altre associazioni come Articolo 21, Amnesty International, Giovani ebrei d’Italia e molti altri, ha fornito un importante contributo a una causa che col tempo ha raccolto adesioni sia del mondo dello spettacolo e della politica sia della società civile.
Questa volta, però, andiamo oltre. Di ritorno da una missione in Sudan (la seconda in due anni) organizzata e promossa insieme all’Intergruppo parlamentare Italia Darfur, la consapevolezza - e passo a raccontarvi impressioni, emozioni e frustrazioni in prima persona - che tutto quello che si è riusciti a fare finora non sia sufficiente, che bisogna fare di più, è più forte che mai... e vi spiego il perché.
Rispetto al 2007, quando insieme a una delegazione della Commissione Esteri della Camera avevo visitato ‘Al Salam Camp’, nel nord Darfur, non ho trovato volti scavati dalla fame, fantasmi senza futuro che non avevano neanche la forza di chiedere aiuto. Stavolta non sono state le migliaia di persone che pelle e ossa vagavano per il campo con gli occhi sbarrati dal panico o le agghiaccianti testimonianze delle ragazze che raccontavano il terrore degli stupri subiti a segnarmi profondamente. Questa volta è bastato il ‘contesto’... Il degrado umano dilagante, l'assenza di ogni barlume di speranza negli sguardi che ti scrutano nel profondo, la delusione trasformata in rassegnazione di non poter cambiare uno ‘status’ incancrenito, che ti porta a perdere dignità e futuro.
E’ vero, la situazione alimentare non è al tracollo. Nonostante l'espulsione di 13 organizzazioni internazionali che garantivano la distribuzione del cibo e l’assistenza umanitaria a oltre un milione di profughi il sistema del Programma alimentare mondiale ha retto. Ma la rabbia repressa e il dolore immane per un’esistenza ai limiti della sopravvivenza e del decoro, hanno ‘inciso’ un marchio indelebile sulla pelle di questa gente. Avrei preferito trovarli con qualche chilo di meno addosso piuttosto che deturpati da una ferita aperta che neanche il tempo riuscirà a guarire.
Quando bambini di quattro – cinque anni si azzuffano e calpestano i fratellini di pochi mesi pur di strappare dalle mani di chi li porge quaderni e matite che probabilmente non useranno mai, comprendi che per loro il presente e il futuro sono segnati da abbandono, disinteresse e violenza.
Tutto questo e molto di più, o di peggio, è ancor oggi il Darfur. Eppure ci dicono che la fase critica è passata, che ai trecentomila morti causati dal conflitto che ha spinto alla fuga due milioni e mezzo di persone non si aggiungeranno altre vittime perché la guerra è finita!
E allora se la guerra è davvero ‘finita’ perché negli ultimi dieci mesi la popolazione di Zam Zam Camp, il centro di accoglienza visitato pochi giorni fa con il presidente del’Interparlamentare Italia – Darfur, Gianni Vernetti, è praticamente raddoppiato passando dai circa 60mila del 2008 agli oltre 100mila di quest’anno? E non è l’unico punto di approdo di questa marea di disperati che non si arresta in tutta la regione.
A spingerli lontani dai loro villaggi non sarà più la paura dei janjaweed, i cosiddetti ‘diavoli a cavallo’ – che secondo la Corte penale internazionale, hanno compiuto massacri indicibili sotto la guida del regime di Khartoum - ma la mancanza di sicurezza, che espone sia la popolazione locale sia gli operatori umanitari e gli stessi peacekeeper della missione Onu – Ua che dovrebbe garantire ad essi protezione, lo è di certo!
La crisi umanitaria, già gravissima, rischia di diventare incontrollabile a causa delle continue incursioni di gruppi criminali armati che sequestrano indifferentemente civili, militari e cooperanti persino nelle loro abitazioni e/o sedi di lavoro.
Nonostante la complessità della situazione che si è delineata nel corso delle ultime visite degli osservatori delle Nazioni Unite e le preoccupazioni esternate dagli operatori delle Ong ‘superstiti’, il governo sudanese - interpellato nel corso della visita - non è sembrato affatto preoccupato. Anzi. Il Governatore del Darfur ha annunciato che è in atto un flusso di rientro dei profughi nelle proprie abitazioni e che i villaggi abbandonati in passato per timori di attacchi, si stiano ripopolando.
Peccato che i capi tribali di Zam Zam, ai quali abbiamo chiesto informazioni in merito, abbiano smentito quanto sostenuto dagli esponenti governativi incontrati poco prima. Non hanno esitato un attimo nel confermare che nessuno potrà mai tornare nella propria casa se prima non saranno garantite le minime condizioni di sicurezza per rendere i rientri possibili. Basta parlare con i cooperanti presenti nella provincia di Al Fasher e i rifugiati per comprendere che i timori di nuovi attacchi e violenze siano più forti che mai. Nonostante il contingente di Caschi Blu schierato (ancora non completamente, siamo ancora al 75% dei 26 mila uomini previsti) per proteggere la popolazione darfuriana e chi in questa arida regione del Sudan è arrivato per portare aiuto.
Girando tra le capanne e le tende di Zam Zam è facile rendersi conto di quanto l’emergenza sia ancora pressante.
Dopo gli ultimi arrivi dell’estate scorsa non c'è più posto. Non viene più accettato nessuno.
Il messaggio degli sfollati e di chi li assiste è forte e chiaro. ''Abbiamo bisogno di voi più di prima”.
Il dramma che si vive qui è lo stesso di tanti altri centri di accoglienza: poca acqua, cibo appena sufficiente, rifugi di fortuna e tutt’intorno il nulla.
L’appello di aiuto viene pronunciato da tutti gli interlocutori che si incontrano. Un'invocazione che si legge sul volto delle donne e degli uomini assiepati nell’accampamento che dovrebbe garantirgli la sicurezza. E invece non è così.
Una situazione disperata, che coinvolge sempre più persone inermi, ataviche, prive di ogni interesse per la vita, che ormai chiedono elemosina per inerzia (aspetto paradossale di questa tragedia nella tragedia) anche se nel campo non dovrebbe mancargli nulla.
Sono soprattutto i bambini a tendere le mani, a tirarti per la giacca e a chiedere… ‘money?’, l’unica parola in inglese conosciuta.
Sono proprio loro le vittime maggiori di questa crisi umanitaria, crisi che ormai sembra cronicizzata, congelata nella sua mancata soluzione. Tutto ciò lascia davvero poche possibilità a questi piccoli di vivere, un giorno, un’esistenza migliore dei loro padri e delle loro madri.

Antonella Napoli
Presidente di Italians for Darfur

mercoledì, ottobre 21, 2009

SPLM lancia ultimatum a Khartoum

Il Sudanese People's Liberation Movement (SPLM) minaccia di abbandonare il Parlamento sudanese, del quale fa parte a seguito degli accordi di pace del 2005(CPA) se non ci saranno nuovi provvedimenti del Governo che spianino la strada a una libera consultazione popolare per il referendum del 2011 e per le elezioni presidenziali del prossimo anno.

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Comunicato

DARFUR: ASSOCIAZIONE, DA OBAMA PIU' PRESSIONI MENO INCENTIVI

(ANSA) - ROMA, 20 OTT - L'associazione Italians for Darfur auspica che, all'indomani della nuova strategia di ''pressioni e incentivi'' annunciata ieri dal presidente Usa Barack Obama nei confronti del Sudan, ''vengano attuate innanzitutto le maggiori pressioni, e non i promessi incentivi, in caso di una mancata risposta alle richieste rivolte al governo sudanese e, tra queste, oltre alla cessazione del 'genocidio e degli abusi', l'organizzazione di elezioni credibili nell'aprile prossimo (gia' rinviate due volte) e la collaborazione nel contrasto del terrorismo internazionale''. Lo si legge in una nota dell'associazione che da anni si occupa della campagna in favore del Darfur. La nuova strategia della Casa Bianca, avverte pero' l'associazione, ''rappresenta ancora un'incognita, soprattutto perche' l'uso stesso della parola 'genocidio' potrebbe intralciare con la politica dialogante intrapresa da Washington''. ''Di certo auspichiamo che ora si passi dalle azioni ai fatti e che innanzitutto gli Usa si impegnino a mantenere il dossier Darfur in cima all'agenda politica e umanitaria internazionale: solo non spegnendo i riflettori su questo conflitto - conclude la nota - sara' possibile avviare un'azione piu' determinata di quanto non sia stato finora da parte della comunita' internazionale nei confronti del regime guidato dal presidente Al Bashir, accusato di crimini di guerra e contro l'umanita'''.(ANSA).

COM-KVI

sabato, ottobre 17, 2009

Boom dell'edilizia e degli investimenti a Khartoum, ma nel resto del Paese si sopravvive solo grazie agli aiuti internazionali.

Le immagini della immane crisi umanitaria in Darfur e i numeri dell'imponente impegno del Programma alimentare mondiale e delle ONG in quelle stesse aree, così come nelle altre periferie del Sudan, se viste e letti a Khartoum, la capitale, sembrano appartenere a un altro Paese, a terre lontane.

Negli ultimi anni, la capitale sudanese è, infatti, in pieno boom demografico ed edilizio, con agenzie ONU, uffici e sedi di aziende e multinazionali europee e dell'est asiatico che investono milioni di dollari nelle terre ricche di petrolio del Sudan.
Nel centro di Khartoum, un terreno edificabile tra i 400 e i 1000 mq vale 1-2 milioni di dollari. Un bilocale è affittato a non meno di 800-1000 dollari al mese.
Grandi complessi abitativi stanno sorgendo tutto intorno al centro della città e le banche offrono, per la prima volta nella storia del Paese, mutui fino a 15 anni.
Anche confrontando il prezzo degli appartamenti e dei terreni con altre città africane e straniere, come fa il Sudan Tribune, emerge un dato chiarissimo: il loro costo è altissimo.
Il valore di un appartamento a Khartoum è pari a quello di due o tre appartamenti a Il Cairo o a un trilocale a Chicago.

Approfondisci: Un morto e sei feriti per una scodella di sorgo in Darfur

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giovedì, ottobre 08, 2009

Rapporto di Amnesty International

Donne senza pace in fuga dal Darfur
vittime di aggressioni e stupri in Ciad
Le donne del Darfur sono destinate a non trovare pace. Fuggite in Ciad per scampare alle violenze nella regione sudanese subiscono la stessa drammatica sorte nei campi profughi nel paese confinante. Nonostante la presenza delle forze delle Nazioni Unite. schierate proprio per proteggere la popolazione. gli stupri continuano a essere perpetrati impunemente nel territorio ciadiano. A denunciarlo, in un rapporto presentato a Londra il 30 settembre scorso, Amnesty International che accusa la polizia del Ciad. sostenuta dai Caschi blu, di fare ben poco per impedire che donne, ragazze e bambine siano vittime di aggressioni sessuali da parte degli abitanti dei villaggi confinanti i campi profughi e, in alcuni casi, degli operatori umanitari e degli stessi soldati ciadiani che dovrebbero tutelare la loro incolumità. Amnesty ha riferito che la popolazione femminile a rischio è composta da oltre 142mila unità, su 260mila rifugiati che hanno lasciato il Darfur negli ultimi sei anni e che sono ospitati in 12 centri di accoglienza ai confini con il Sudan. Tawanda Hondora, vicedirettore del Programma Africa di Amnesty International, ha sottolineato che “se è un fatto risaputo che le rifugiate del Darfur rischiano di subire aggressioni e stupri quando escono dai campi per raccogliere legna e acqua, si ignora che la situazione all’interno delle strutture dove dovrebbero essere al sicuro non è migliore, giacché quelle stesse donne rischiano la violenza anche da parte dei familiari, di altri rifugiati, dei militari dell’esercito regolare del Ciad e del personale delle organizzazioni umanitarie».Secondo il rapporto di Amnesty International il pericolo proviene principalmente dagli abitanti dei villaggi situati nelle vicinanze dei campi. A garantire l’incolumità di queste persone dovrebbe essere l'Unità integrata di sicurezza, un reparto speciale di polizia sostenuto dalla Missione dell'Onu nella Repubblica centrafricana e nel Ciad.
Ma possono bastare 800 agenti, dispiegati in tutta l’area che ospita le istallazioni umanitarie, a proteggere 260mila persone, la maggior parte dei quali sono donne e bambini?“Gli agenti del Dis - si legge ancora nel rapporto di Amnesty - sono diventati bersagli della violenza locale ma si sono resi anche responsabili di violazioni dei diritti umani. Molte donne rifugiate affermano che questi agenti pensano solo a proteggere se stessi e che hanno fatto ben poco per garantire la sicurezza dei rifugiati”. Le fonti dell’organizzazione internazionale che ha stilato questo desolante resoconto hanno segnalato, inoltre, violenze ancor più, se possibile, vili e subdole. Sono state accertate, infatti, molestie da parte di insegnanti che abusano delle loro alunne promettendo voti alti in cambio. “Alcune bambine hanno dovuto lasciare le scuole – afferma con rammarico Tawanda Hondora - per questa ragione. Il propagarsi della violenza sessuale è, putroppo, dovuto alla cultura dell'impunità, profondamente radicata nel Ciad orientale. L'uso del metodo tradizionale del «negoziato» per risolvere le dispute e i conflitti mostra tutta la propria pericolosità quando si tratta di casi di stupro”."No place for us here: violence against refugee woman in eastern Chad", traccia quindi un quadro ben più drammatico di quello che vogliono ‘mostrare’ le Nazioni Unite e le organizzazioni coinvolte in progetti di cooperazione in Ciad.Il portavoce della missione Onu – Minurcat, Michel Bonnardeaux, ha ammesso con riluttanza la perpetrazione di atti di violenza contro le donne e ha difeso la polizia sostenendo che la situazione della sicurezza stia migliorando.Ovviamente dal Palazzo di Vetro contestano questi dati, affermando che la Dis ha ricevuto uno speciale addestramento per i casi di stupro, e che il documento "è un po' affrettato e basato su un campione molto piccolo e su una breve visita".Ma abbiamo già avuto modo, purtroppo, di verificare e denunciare che tra i caschi blu non mancano individui privi di scrupoli che approfittano del loro ruolo per compiere impunemente atti orribili. Congo, Ruanda e Uganda insegnano.
Antonella Napoli
Presidente di Italians for Darfur

mercoledì, ottobre 07, 2009

La guerra in Darfur non è finita

Come abbiamo più volte denunciato noi negli ultimi mesi, anche Human Rights Watch (HRW) afferma che la "guerra in Darfur non è finita".
L'organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, contraddicendo le recenti affermazioni dei responsabili della missione di pace nella regione dell'ovest del Sudan, teatro di una guerra civile, denuncia che ''nel Darfur gli scontri tra le Forze armate sudanesi guidate dal partito al potere a Khartoum e i ribelli e i bombardamenti alla cieca dimostrano che la guerra non si è conclusa".
Human Rights Watch ha anche esortato le autorità sudanesi ad impegnarsi nelle riforme per garantire il rispetto dei diritti fondamentali in vista delle elezioni nell'aprile 2010 e ha chiesto loro di mettere fine "agli arresti arbitrari" degli attivisti dell'opposizione. "Il Sudan è a un crocevia", scrive HRW, "può decidere di rispettare al meglio i suoi impegni o permettere che la situazioni si deteriori con le pratiche repressive", sottolinea Georgette Gagnon, direttore dell'organizzazione per l'Africa,.
In questi giorni, intanto, si è aperta a Mosca una riunione sul Darfur cui partecipano i rappresentanti di Sudan, Russia, Stati uniti, Cina, Francia, Regno unito e Unione europea ai quali è stata inviata una lettera aperta, firmata da varie organizzazioni non governative tra cui la nostra associazione, attraverso la quale si chiede un maggiore impegno nei confronti delle emergenze in Darfur e Sud Sudan, dove la tensione è sempre più alta. Il comandante uscente delle operazioni militari della FOrza Onu-Ua (Unamid) in Darfur, Martin Luther Agwai, aveva affermato a fine agosto che la fase di guerra era terminata: secondo le ultime stime Onu in Darfur sono morte 300mila persone e 2,7 milioni sono state costrette ad abbandonare le loro case.

(fonte afp)

domenica, ottobre 04, 2009

SLM: attacco dei governativi in Nord Darfur

Ahmed Abdel Shafi, leader di una delle fazioni dello SLM nel Nord Darfur, accusa il governo di aver attaccatto, giovedì scorso, una loro postazione vicino a Moo, con 56 veicoli armati, 4 elicotteri e due Antonov, uccidendo 28 persone, trai quali civili.
Ahmed Abdel Shafi è una delle parti coinvolte nelle trattative portate avanti da Scott Gration, inviato speciale degli USA per il Darfur, e finalizzate alla unificazione del fronte ribelle. (Sudan Tribune)

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Elezioni 2010: ricandidato Omar Hassan al Bashir

Sarà Omar Hassan al Bashir il candidato ufficiale del National Congress Party alle elezioni presidenziali del prossimo Aprile in Sudan, le prime dopo 24 anni: lo ha annunciato il portavoce del partito, che ha confermato il voto anche in Darfur e ha fatto sapere che le 13 ONG espulse a Marzo dal Darfur non verranno riammesse.
Scettici i partiti di opposizione, i quali chiedono che vengano approvate nuove norme che, nel pieno rispetto della costituzione sudanese, garantiscano libertà di stampa ed espressione. Le rappresentanze dei ribelli domandano invece di rinviare le elezioni dopo la fimra di un accordo di pace tra le parti in conflitto in Darfur.
Aumentano gli scontri armati anche in Sud Sudan, in un crescente clima di tensione e paura: palese l'incapacità delle forze governative del Nord e Sud Darfur di proteggere la popolazione e garantire stabilità nella regione, ricca di greggio.
Il 30-40 % dei fondi destinati al Sud sono spesi in armamenti pesanti (Small Arms Survey)



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