In Sudan, come in altre parti del mondo, migliaia di bambini sono costretti a un presente di guerra e ad un futuro ai margini della società.

di Mauro Annarumma per Mpnews
Sono ancora migliaia, oltre 3500 secondo statistiche delle Nazioni Unite e dell’Unicef, i bambini soldato in Sudan. Vengono rapiti dai villaggi, si abusa di loro psicologicamente e sessualmente, vengono addestrati alla guerra. Non c’è più spazio per i sogni ed il gioco nel cuore dei bambini armati di kalashnikov e coltelli del Sudan, come in quelli del Congo e della Birmania, tra i Paesi che soffrono maggiormente la piaga dei bambini soldato.
Nonostante gli sforzi della comunità internazionale, molti bambini, anche se reintegrati nella società e ricondotti alle famiglie, spesso si arruolano nuovamente allettati dal salario delle milizie e dei movimenti armati del Sudan, siano essi pro-governativi o ribelli, con il quale possono essere di sostegno alle famiglie.
Il protocollo firmato a N’Djamena lo scorso 11 giugno, in Ciad, al termine di una conferenza programmatica promossa dall’Unicef e alla presenza del rapper ed ex bambino soldato sudanese Emmanuel Jal, è un importante passo in avanti nella lotta agli abusi sui minori, e impegna i Paesi firmatari alla smobilitazione dei bambini soldato dalle proprie forze armate. Sono sei le delegazioni che hanno sottoscritto la Dichiarazione di N’Djamena: Ciad, Repubblica centro-africana, Sudan, Nigeria, Niger e Camerun.
Se l’impegno verrà tradotto in azioni, tali Paesi si allineeranno agli standard internazionali per la difesa dei minori, come i protocolli della Convenzione Internazionale per i Diritti dei Bambini, mirati alla difesa dei minori dalla guerra e dalla prostituzione, e i Paris Commitments and Paris Principles, linee guida per l’assistenza dei bambini che già appartengono a gruppi armati.
In Sudan non esiste la certezza di una sistematica adozione dei minori nelle fila dell’esercito regolare, ma ancora numerosi sono quelli che vi continuano a crescere. Il bacino più ampio a cui affluisce la maggior parte delle vittime della guerra rimane tuttavia il variegato mondo delle milizie armate, numerose in Sudan.
Molte attenzioni sono state poste, in particolare, verso il Sudan People Liberation Army, il quale, nonostante la firma degli accordi più recenti promossi dall’ONU, continuano ad avere bambini soldato tra le fila di combattenti.
Anche in Darfur, soprattutto nel West Darfur, dove l’attività dei movimenti armati è ancora forte, come quella del Justice and Equality Movement, del Sudan Liberation Army-Unity e SLA-Minni Minnawi, ed di altri gruppi minori, si registrano numerosi casi di arruolamento di giovani combattenti, nonostante alcuni programmi di collaborazione tra gli stessi movimenti e l’ente per l’infanzia delle Nazioni Unite, a partire dal luglio 2009.
Sempre in Darfur, è stato istituito un ente preposto, il Government of National Unity for the North Sudan Disarmament, Demobilization and Reintegration Commission, deputato al coordinamento del disarmo e del reinserimento nella società di questi bambini, molto spesso vittime di abusi sessuali.
Pochi mesi fa, Italians for Darfur, l’associazione italiana per i diritti umani in Sudan, aveva promosso un appello per chiedere la sospensione definitiva delle condanna a morte di sei bambini di etnia Fur accusati di far parte del Justice and Equality Movement, uno dei movimenti ribelli più importanti del Darfur e chiedeva di fare chiarezza sulle responsabilità del loro arruolamento in questo movimento. Un appello, il cui esito positivo, ottenuto grazie a una grande ed immediata partecipazione popolare, testimonia la sensibilità e le energie che i temi sull’infanzia sono ancora capaci di catturare. Energie che speriamo mettano presto fine a questa piaga immane, in Sudan come nel resto del mondo.