Il blog di Italians for Darfur

lunedì, gennaio 30, 2012

Ibrahim Gambari fotografato insieme al Presidente del Sudan, criminale di guerra e contro l'umanità.

L'inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari, è stato fotografato a un ricevimento insieme a Omar Hassan al Bashir, su cui pende un mandato di arresto internazionale per genocidio e crimini contro l'umanità, in Chad.
La cosa in sè desta sconcerto e scalpore, ancor di più se contestualizzata. Gambari e Bashir presenziavano al matrimonio della figlia del leader dei famigerati janjaweed, Musa Hilal, con Idriss Deby, presidente ciadiano.
Ibrahim Gambari è a capo della commissione congiunta per la pace in Darfur.

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martedì, gennaio 24, 2012

Italians for Darfur al Festival della solidarietà

Il Sudan vuole ridimensionare la missione Onu in Darfur*

L'esercito sudanese ferma l'avanzata dei ribelli verso Khartoum a suon di bombe. I gruppi armati del Darfur che da questa estate hanno intensificato le rappresaglie contro il governo del Sudan, in risposta ai raid aerei nello Stato del Sud Kordofan confinante con la regione occidentale del paese e il Sud Sudan, hanno denunciato che negli attacchi sono stati coinvolti numerosi civili.

Il portavoce delle Forze armate ha smentito la notizia precisando all'agenzia Suna che "i militari hanno compiuto negli ultimi giorni una vasta operazione che ha permesso di scacciare i ribelli dall'area sotto il controllo governativo". Nonostante il tentativo di ridimensionare l'azione della ribellione darfuriana, il nervosismo degli esponenti dell'esecutivo guidato da Omar Hassan al Bashir è palese. La tensione crescente non gli ha però impedito di procedere con l'istituzione di due nuovi Stati e la nomina dei rispettivi governatori.

I cambiamenti sono inquadrati nell'ambito dell'attuazione del Documento di Doha per la pace in Darfur (Ddpd) firmato dal governo sudanese e dall'ex gruppo ribelle Movimento di liberazione e giustizia (Ljm), nel tentativo di porre fine agli otto anni di conflitto nella regione. La "raccomandazione" di dividere il territorio occidentale del Sudan in cinque aree distinte era stata avanzata per la prima volta nel 2008, all'avvio del tavolo delle trattative in Qatar che si è concluso con la conferenza internazionale di Doha del luglio 2011 con l'approvazione all'unanimità dell'accordo.

Con il primo decreto Bashir ha sollevato dai propri incarichi i governatori del Darfur meridionale e occidentale, rispettivamente Abdul Hamid Kasha Musa e Al-Sharati Gaffar Abdul Hakam. Con un atto successivo sono stati istituiti gli Stati del Darfur orientale e centrale, affidando a Kasha il governatorato del primo e nominando Yusif Tibin, ex ministro delle Infrastrutture del Sudan, governatore del secondo. Alla guida del Darfur occidentale al posto di Abdul Hakam è stato indicato Haydar Koma, uno dei leader del Jlm di etnia Zagawa.

Unico ad aver mantenuto la propria posizione il governatore del Nord Darfur, Osman Yusif Kibir. Tra le nuove nomine spicca quella di Hamad Ismail Abdul Karim a governatore del Sud Darfur. Karim fino a poche settimane prima era stato uno dei leader del Popular congress party, il più importante partito di opposizione e sostenitore dei movimenti ribelli in Darfur.

I cambiamenti voluti da Khartoum hanno ulteriormente inasprito i contrasti tra le parti in conflitto. A dare voce alle critiche del Movimento di liberazione del Sudan uno dei capi storici della rivolta, Minni Minawi. In un'intervista a Radio Dabanga, Minawi ha confermato "l'impossibilità di negoziare sulla base dell'accordo di Doha" e ha ribadito che "l'Slm e gli altri movimenti uniti sotto la bandiera del Fronte rivoluzionario del Sudan prenderanno in considerazione solo una soluzione complessiva che riguardi tutto il paese e non soltanto il Darfur".

Minawi ha anche chiarito che la fine delle ostilità potrà essere raggiunta solo con la caduta di Bashir e con la formazione di un governo di transizione che traghetti il Sudan verso le elezioni presidenziali. In sostanza, i ribelli non deporranno le armi fino a quando non riusciranno a rovesciare il regime sudanese. In sintesi, le violenze e gli scontri sono destinati a proseguire.

A fronte dell'instabilità in Darfur e negli Stati del Sud Kordofan e del Nilo Azzurro, dove si nega l’autorizzazione agli aiuti umanitari alle popolazioni coinvolte negli scontri, il governo sudanese ha chiesto alle Nazioni Unite il ridimensionamento della missione ibrida di peacekeeping dispiegata nel paese nel 2008.

Il rappresentante sudanese all'Onu, l'ambasciatore Daffa-Alla Elhag Ali Osman, avvalendosi di un rapporto sulla situazione in Darfur ha riferito che gli scontri tra l'esercito governativo e i ribelli si sono interrotti dopo la firma del documento di Doha per la pace in Darfur del 14 luglio 2011. Ha però omesso che solo un gruppo minoritario aveva sottoscritto il "cessate il fuoco".

Daffa-Alla ha sottolineato che "la riduzione della missione più grande mai schierata finora dal Palazzo di vetro permetterà alle Nazioni Unite di risparmiare oltre due miliardi di dollari, risorse economiche che potrebbero essere assegnate ai progetti di sviluppo nella regione".

Autorizzata da una risoluzione votata il 31 luglio 2007, l'Unamid, un contingente composto da caschi blu e militari dell'Unione Africana, doveva dispiegare 26 mila uomini, di cui 25.987 militari. Ma a quattro anni e mezzo sono arrivati in Sudan poco più di 22 mila unità tra militari, polizia e personale civile e le dotazioni non sono mai state adeguate alle esigenze di sicurezza e al mandato della missione di proteggere i civili e facilitare la fornitura di assistenza umanitaria agli sfollati nei campi profughi.

Nell'ultimo anno il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha cercato di ampliare il raggio d'azione di Unamid chiedendo un coordinamento con le altre missioni Onu presenti nel paese, ad Abyei e in Sud Sudan. Ma Khartoum si è sempre opposta a qualsiasi estensione delle attività dei caschi blu, arrivando a minacciare di cacciarli dal Darfur.

Sin dall'inizio il Sudan ha imposto forti restrizioni ai movimenti delle pattuglie dei peacekeeper e ha sempre negato l'uso di elicotteri tattici in grado di rendere davvero efficace la loro azione. Ora ne chiede il ridimensionamento: nulla di nuovo sotto il cielo di Khartoum.

* articolo pubblicato su Limes il 23 gennaio 2012

sabato, gennaio 14, 2012

Il Sud Sudan si arma. A stelle e strisce.

Saranno le aziende statunitensi ad armare l'esercito sud sudanese, dopo la modifica delle regole di embargo politiche ed economiche degli USA nei confronti di Khartoum, in favore del neonato Stato africano.

Un passo, a firma Obama, che "rafforzerà la sicurezza degli Stati Uniti e promuoverà la pace nel mondo" (cit. Reuters).

La Cina e la Russia, principali fornitori del Sudan, apriranno la stagione dei saldi?

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martedì, gennaio 10, 2012

Bashir sotto pressione: aumenta l'inflazione, opposizione all'attacco.

L'indipendenza del Sud Sudan sta già cambiando il modo di vivere nella ricca Khartoum e accende le speranze per una nuova primavera araba nella capitale. In realtà, a parte i proclami del principale oppositore politico di Bashir, Hassan al Turabi, gli esperti escludono vi siano le possibilità, in Sudan, di una ribellione ampia e partecipata come quella realizzatasi in tutto il Nord Africa. 
Ma la tensione sociale, in un Paese in cui già sono vigenti leggi contro la libera informazione, in contrasto con la Costituzione che la sancisce, cresce.
I proventi dalla vendita del greggio che prima giungevano a Khartoum e la abbellivano con palazzi e ristoranti alla moda, ora si fermano, per i due terzi,  in Sud Sudan. Aumenta così l'inflazione e con essa i prezzi dei prodotti di base e di quelli di lusso, inasprendo anche i già difficili rapporti con il nuovo vicino di casa. 
L'uccisione del principale leader ribelle, inoltre, pur segnando un grande successo per le forze governative, riserva in realtà molte incognite, la più temuta delle quali è la riorganizzazione del fronte ribelle in Darfur e Kordofan.
Un'occasione propizia per rilanciare proclami anti-autoritari contro il Presidente dittatore. Ma che a farlo siano  gli stessi che ne hanno partecipato la presa del potere, il movimento islamista di Hassan al Turabi, non dà spazio a molte speranze.

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giovedì, gennaio 05, 2012

Campo profughi di Nyala: scarseggiano gli alimenti, operatori umanitari bloccati per motivi di sicurezza.

Gli sfollati del Darfur al campo profughi di Kalma non ricevono alimenti  e farmaci a sufficienza. Nonostante il World Food Programma abbia in Sudan uno dei suoi più grandi progetti di aiuto alimentare al mondo, il numero delle razioni alimentari distribuite, ultimamente, si è notevolmente ridotto, inducendo la popolazione ad atti di violenza e saccheggio delle risorse disponibili.

Le forze di sicurezza governative avrebbero, infatti, limitato fortemente i movimenti degli operatori umanitari intorno a Nyala, a causa dello spostamento di numerosi convogli di uomini e mezzi armati, non regolari, subito dopo l'uccisione del leader del JEM, Khalil Ibrahim.

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L'ombra del Darfur sulla missione in Siria*

Che la questione siriana sia ormai fuori controllo e abbia travalicato di gran lunga i confini regionali è sotto gli occhi di tutti. Dalla comunità internazionale, in primis Stati Uniti e Francia, è stato chiesto a Bashar Assad di fare un passo indietro. Ma il presidente – dittatore non sembra intenzionato ad assecondare tali richieste e la situazione rischia di precipitare, fino ad arrivare a una possibile risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Per tentare di scongiurare un intervento del Palazzo di vetro che possa degenerare in un’azione militare, è scesa in campo la Lega Araba sulla cui mediazione e sull’invio di una delegazione di osservatori in Siria sono stati però sollevati non pochi dubbi.
Sono in pochi a scommettere sul reale impegno dei paesi ‘amici’ di Damasco a voler fermare la violenta repressione di Assad nei confronti dei manifestanti. E mettendo un generale sudanese con stretti legami con il presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Darfur, non hanno fatto altro che alimentare tale interrogativo.
Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi, 63enne con trascorsi militari non sempre limpidi, guida una missione di monitoraggio composta da 150 persone, i cui primi 50 membri sono già in Siria dal 26 dicembre.
Obiettivo degli osservatori, assicurarsi che siano ritirate le forze di sicurezza dalle città siriane in rivolta, garantire la scarcerazione dei prigionieri politici e permettere che si possano svolgere liberamente le dimostrazioni anti governative.
Al-Dabi divenne capo dell'intelligence militare del Sudan nel 1989, anno in cui Bashir prese il potere con un colpo di stato. La sua carriera è continuata con l’incarico di direttore dell'agenzia di spionaggio estero del Sudan ed è stato vice comandante delle forze armate sudanesi per le operazioni militari tra il 1996 e il 1999. Da quell’anno ha rivestito incarichi di grande rilevanza connessi al Darfur e alla crisi che ha toccato il suo apice nel 2003, quando gli oppositori al regime di Khartoum, imbracciarono le armi e attaccarono l’aeroporto militare della Capitale. L’ultima posizione ricoperta prima di assumere la guida della delegazione araba in Siria è stata quella di coordinatore tra Khartoum e le forze di pace internazionali inviate in Sudan dopo l’inizio del conflitto.
Come c’era da attendersi, la missione di al-Dabi non ha preso il via sotto i miglior auspici.
Dopo aver visitato la città di Homs, teatro di numerose uccisioni da parte delle forze governative, il generale ha dichiarato alla BBC che "a parte un po 'di confusione in alcuni quartieri, non c'era niente di spaventoso da segnalare". Peccato che le violenze nei confronti dei dimostranti sono continuate anche in presenza degli osservatori.
Almeno 50 persone sono state uccise dal 31 dicembre ad oggi dai cecchini del governo, ha rilevato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland sottolineando che la Siria è "ben lungi dal compiere azioni distensive in grado di ‘soddisfare’ gli impegni assunti con la Lega Araba”.
Le più importanti organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno manifestato grande preoccupazione per la composizione della squadra inviata a Damasco. La delegazione, secondo gli attivisti, è costituita da “burocrati con inadeguata preparazione e scarsa esperienza”, personalità poco adatte a scoprire e denunciare gli abusi o ad ottenere l'accesso ai siti militari dove i prigionieri potrebbero essere detenuti.
Insomma l'atteggiamento dei delegati sembra essere "See No Evil, Hear No Evil", se il male non si vede…

* Articolo apparso il 5 dicembre 2012 su Articolo21

mercoledì, gennaio 04, 2012

La guerriglia in Darfur andrà avanti senza Khalil *

Khalil Ibrahim, leader carismatico e indiscusso del Justice and equaliment movement, il principale gruppo armato del Darfur, è stato ucciso dall'esercito del Sudan nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 2011 in un attacco a circa 440 miglia ad ovest di Khartoum, nei dintorni di Wad Banda nello stato del Nord Kordofan. Il raid ha causato la morte di altre 30 persone.
La colpa più grave del capo della ribellione darfuriana, che ha fatto scattare quella che è apparsa come una vera e propria esecuzione a colpi di bombe, è l'ideazione di un'offensiva contro il quartier generale del potere sudanese. Migliaia di guerriglieri sarebbero in marcia per sferrare un attacco simile a quello del 2008 alle porte di Omdurman, città satellite della capitale.
La morte di Ibrahim rappresenta una grave battuta d'arresto per la rivolta (attiva da nove anni) al regime guidato dal presidente Omar Hassan al Bashir. Il Jem, da tempo il movimento meglio organizzato della regione occidentale del Sudan, non ha mai accettato di sottoscrivere accordi di pace che non contemplassero l'affermazione della giustizia per il popolo del Darfur e una serie di compensazioni per chi, oltre alla casa, nel conflitto avesse perso familiari e subito violenze e abusi.
Questa contrapposizione dura, che ha portato alla mancata firma del documento finale del tavolo di confronto promosso dall'Unione Africana a Doha, in Qatar, è culminata con la ripresa degli scontri nel maggio 2010. Il cessate il fuoco raggiunto faticosamente nel febbraio dello stesso anno, dopo una lunga fase di colloqui che per la prima volta aveva visto seduti allo stesso tavolo governo e ribelli, è stato violato pochi mesi dopo.
Senza l'appoggio del movimento di Ibrahim ogni accordo di pace raggiunto da Khartoum con i gruppi minori non ha mai goduto di grande credibilità.
Nonostante il conflitto non sia più ad alta intensità dal 2006, il Jem ha continuato a contrapporsi alle Forze armate sudanesi con sporadici combattimenti, nonostante la presenza della missione ibrida Nazioni Unite e Unione africana impegnata in operazioni di peacekeeping dal 2008.
Khalil Ibrahim, pupillo dell'islamista Hassan al Tourabi, ispiratore della 'repubblica islamica' poi trasformata in regime militare da Bashir, ha fatto parte del Fronte nazionale islamico che prese il potere in un incruento colpo di Stato nel 1989.
Ministro di Stato per il Darfur, ma lontano dal potere centrale, stanco della continua marginalizzazione delle etnie africane nella regione occidentale del Sudan, Ibrahim si unì a un gruppo di dissidenti che pubblicò nel 2000 il "Libro Nero", una pungente denuncia del predominio arabo nella politica e nella gestione delle risorse nel paese - precluse a detta del fronte di opposizione agli abitanti 'neri' di quelle aree.
Quell'azione di contrasto politico fu il preludio allo scoppio della guerra, nel febbraio del 2003.
Dopo l'attacco alla capitale che costo la vita a oltre 200 persone tra militari e civili - per il quale era stato condannato a morte dalla Corte penale del Sudan che l'aveva giudicato in contumacia - il leader del Jem aveva cercato rifugio nella vicina Libia sotto la protezione di Muammar Gheddafi. All'indomani della caduta del Colonnello, Ibrahim è rientarto in Sudan e ha stretto un'alleanza con il Sudan liberation army, guidato da Wahid al Nur e Minni Minnawi, per ridare vigore all'azione della rivolta e per rovesciare il governo di Bashir.
La sua eliminazione è apparsa agli analisti delle questioni sudanesi come un messaggio diretto a tutti i ribelli a riprendere, rimosso il principale 'ostacolo', il tavolo delle trattative per raggiungere una soluzione pacifica nell'interesse del paese. Senza più spargimenti di sangue. Che tale messaggio venga recepito, appare alquanto improbabile.

*Articolo pubblicato su Limes il 3 gennaio 2012