Il blog di Italians for Darfur

venerdì, aprile 04, 2014

SUDAN, BASHIR TENTA L'ULTIMA CARTA PER LA RICANDIDATURA NEL 2015

Il presidente Omar Hassan lo aveva annunciato in Parlamento, il 2014 avrebbe segnato la fine di ogni forma di ribellione in Sudan, da stroncare con ogni mezzo possibile per dare un nuovo corso al Paese in vista delle elezioni presidenziali del 2015. Tornata elettorale di cui lui non dovrebbe essere protagonista. Almeno a detta dell'ex vice presidente sudanese Yousef al Haj Adam, estromesso dal governo a causa dello scontro in atto nel Partito del Congresso nazionale proprio sulla volontà della maggioranza di non ritenere opportuna una ricandidatura di Bashir al quale è stato ‘concesso’ di restare al potere fino al prossimo voto. L’ex numero due di Khartoum era stato il primo a ‘invitare’ l’Ncp e gli altri partiti sudanesi a cambiare la propria classe dirigente "portando avanti un cambio generazionale e lasciando spazio ai giovani". A lui si sono accodati molti altri e la possibilità che a concorrere alle presidenziali sia un volto nuovo appare alquanto concreta. Eppure l’attivismo degli ultimi mesi del presidente in carica, su cui pende un mandato della Corte penale internazionale per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità in Sudan, è apparso a osservatori e analisti delle questioni sudanesi come un segnale contrastante. La scorsa settimana Bashir aveva ribadito la volontà del governo di voler completare il processo di pace in Darfur, ristabilendo nella regione lo ‘Stato di diritto’, parlando ai giornalisti a El Fasher durante una delle tappe del viaggio verso Um Jaras per partecipare alla conferenza di riconciliazione a cui hanno aderito gran parte delle forze politiche del Paese, tra cui il segretario generale del Partito del Congresso Popolare, Hassan Al Turabi, storico leader dell'opposizione, il vice presidente del Partito nazionale Umma, Fadallah Nasir e i rappresentanti di diversi partiti politici di minoranza. All'arrivo all'aeroporto di Um Jaras il presidente del Sudan è stato ricevuto dall'omologo ciadiano, Idriss Debby,con il quale ha tenuto una sessione a porte chiuse sulle relazioni bilaterali e gli sforzi in corso per rafforzare la pace al confine tra i due paesi, oltre alla ridefinizione del ruolo della forza congiunta tra Ciad e Khartoum. L’azione del generale giunto al potere nell’89 dopo un colpo di stato, non sembra affatto quella di un presidente pronto a farsi da parte. E il successo della conferenza di Um Jaras appare a molti come una carta da giocare per rivendicare ancora una volta la sua supremazia. Obiettivo del forum è quello di dare un forte impulso agli sforzi in corso per raggiungere la pace e la stabilità nel Darfur. Bashir ha evidenziato durante il suo intervento che “le conclusioni del forum porteranno buone notizie per tutto il popolo del Sudan”. In apparenza tutti i partecipanti hanno spinto per raggiungere un’intesa che dia stabilità al Sudan in generale e in particolare nel Darfur che permetta l’attuazione degli accordi di pace firmato in Qatar dal governo e una parte dei gruppi ribelli. La speranza di quanti hanno partecipato alla conferenza è che i non aderenti al Doha peace agreement possano finalmente sedersi al tavolo dei colloqui, fermando così i combattimenti ancora in corso in varie aree del Paese. La recrudescenza delle violenze registrata negli ultimi mesi lascia però poche speranze che esponenti dei movimenti che ancora non hanno abbandonato le armi possano decidere di trattare con il governo di Bashir. Soprattutto a fronte della ripresa delle scorribande dei janjaweed, i miliziani filoarabi colpevoli dei massacri in Darfur dal 2003 ad oggi. Pur cambiando denominazione, le Forze di Rapido Intervento, già impegnate nella repressione della ribellione in sud Kordofan e rientrate in Sud Darfur da metà febbraio, hanno mantenuto lo stesso feroce modus operandi. Sia la missione di peacekeeping dispiegata nella regione, Unamid, che organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch hanno confermato la ripresa delle attività paramilitari contro villaggi Fur e Zaghawa: dopo i bombardamenti, le milizie si scagliano su larga scala su proprietà e civili, causando, solo nelle ultime settimane, centinaia di vittime e oltre 45.000 sfollati, 200.000 dall'inizio dell'anno tra Jebel Marra e Nord Darfur. La via per la riconciliazione è dunque ben lontana dall'essere imboccata. Articolo pubblicato in contemporanea su Limesonline il 4 aprile 2014